Malditesto

“It” di Stephen King: recensione libro

“Nello sforzo di conciliare queste due emozioni, amore e paura, Bill sentiva di avvicinarsi al mistero dell’accettazione finale.”

Tutti abbiamo paura di qualcosa, ma non tutti reagiamo nello stesso modo, e nonostante Stephen King sia diventato famoso per i suoi libri che di paura sono intrisi, è la scelta di combatterla che distingue protagonisti e antagonisti nei suoi romanzi. Ovviamente l’infanzia, l’adolescenza, sono temi molto cari al maestro dell’horror, e tanti ragazzini sono stati protagonisti delle sue storie. Evidentemente cerca in loro quell’innocenza candida e senza secondi fini, tipica dei puri. Non sceglie ragazzini già speciali (in città c’erano altri fratelli e sorelle dei bambini scomparsi, o no? Volevano bene anche loro a chi non c’era più, o no?) bensì li rende speciali unendoli nel suo secondo tema preferito, l’amicizia, ma resta il fatto che i ragazzini protagonisti dei migliori successi di Stephen King – ricordiamo anche Il corpo (Stand by me), L’acchiappasogni… – sono stati scelti per le loro motivazioni. Sono gli unici a muoversi spinti dal senso di giustizia. Gli unici, oltre ai suoi eroi nella sua immensa produzione. Molti personaggi dei suoi libri hanno le stesse caratteristiche dei bambini. Nick Andros ne L’ombra dello Scorpione, Alan Pangborn in Cose preziose, Johnny Smith ne La zona morta. In alcuni casi la magia si compie, e un po’ di quella purezza resta incorrotta trasmigrando dall’infanzia all’età adulta, come per lo stesso Bill Denbrough in It. Un po’, non tutta. Quel po’.

È di questo passaggio che soprattutto parla il romanzo, del bambino che rinuncia alla sua innocenza per diventare adulto. Tutti i personaggi di It sono costretti a farlo prima del tempo. Beverly ha un padre tiranno che la guarda e parla in modi strani, che non capisce ma sente sbagliati. Eddie ha una madre che lo tiene legato a sé proiettandogli le sue manie. Ben deve fare i conti con il bullismo a causa del suo peso, e non gli va meglio di come Mike e Stan affrontano gli stessi problemi per via del razzismo o dell’intolleranza religiosa. Richie, poi, adulto lo è diventato per attitudine, sviluppando ironia e sarcasmo in una maniera così naturale e precoce che deve solo aspettare che il suo corpo lo segua. Infine ritroviamo proprio Bill, che non solo affronta il trauma e il senso di colpa per la morte del fratellino, ma deve anche elaborare il distacco dei genitori dopo la perdita. Stanno stretti sotto i letti sette spettri a denti stretti. Questi sette ragazzini, già provati da un’infanzia che chiede loro di crescere prima del dovuto, finiranno per trovarsi davanti solo due strade: restare innocenti a costo della vita, o cambiare, crescere, combattere, barattare la purezza per la vita. E, orrore, nessuna di queste due strade è una scelta! Georgie ha forse scelta? Georgie non sarebbe cresciuto mai, riflette Bill in visita nella sua stanza, “sei anni per sempre”. Un prezzo troppo alto, per restare incontaminato… ma It li mette alle strette e non lascia speranza alcuna. Mostra loro un mondo al di là del mondo, pericoli che sarebbero fuori scala per un esercito, figuriamoci per dei bambini. Se guardando le stelle vi siete sentiti perduti, persi nell’immensità, sapete cosa hanno provato i Perdenti scoprendo in un istante i concetti di eterno e di infinito. Concetti non rappresentabili dalla mente umana, esattamente come inconcepibile è la vera forma di It, che pur di cibarsi accetta di presentarsi in forma terrena, una forma che può essere compresa, elaborata, e come per tutte le cose che vengono elaborate, c’è infine la speranza di poterla sconfiggere.


La verità però è che sia scendendo a patti con la Mangiatrice di Mondi, sia combattendola – o tentando – non potremo comunque più restare incontaminati come lo eravamo prima. Scegliete bene con quale estremità volete giocherellare, di quel punto sottile che divide la vita di tutti i giorni da quella che potreste avere. Un po’ di paura ci tiene in vita, troppa corrompe e spinge alle soluzioni facili. Nel romanzo It, Stephen King ha usato la parola “paura” 293 volte. Sapete quale parola ha usato molto meno? “Coraggio”. Ma l’ha scelta per concluderlo.

“L’infanzia conferma la mortalità. La mortalità definisce coraggio e amore.”

Va bene, l’ultima non è proprio quella. Ma insomma, ci siamo capiti.

Alessandro Pomili & Giovanna Vizzaccaro

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It” di Stephen King, Sperling&Kupfer, 2017. Malditesto.

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