Malditesto

“It” di Stephen King: recensione libro

“Una delle grandi verità della sua infanzia: i veri mostri sono gli adulti.”

Veniteci a dire che le promesse di un adulto valgono quante quelle di un bambino. Per un bambino una promessa vale quanto la persona che la formula. È una regola inviolabile. Volete deludere irrimediabilmente un bambino? Allora fategli una promessa che non manterrete. È con la prima promessa tradita, che un bambino fa un passo verso la maturità. Con la prima delusione, in altre parole. E sono proprio gli adulti che insegnano ai bambini che le promesse in fondo non sono così importanti. Come può un bambino continuare a credere nelle promesse, se possono essere tradite anche quelle fatte ad autorità ben più superiori? Vogliamo tirare in ballo anche Dio? Eh? Gli adulti prima insegnano ai bambini il concetto di promessa, e poi gli insegnano a violarla. Prima insegnano a dire la verità, e per spiegarla insegnano cos’è una bugia. E se non è corruzione il tradimento di un bambino… D’altronde la delusione di fronte all’inadeguatezza parentale è comune a tutti i protagonisti di It, senza che serva tirare di briscola con gli abusi subiti da Beverly ed Eddie. Il rifiuto di vedere la realtà, di vedere i loro stessi figli, è strettamente intessuto nella trama di un racconto che si serve prima dell’illusione, per credere che ci sia un’altra spiegazione, e poi della delusione, per sentire quanto profana sia la realtà (un clown assassino con poteri magici? Una città di omertosi e razzisti? I nostri genitori che non ci amano quanto dovrebbero? Ma, come riflette Bill, “ad appoggiare l’orecchio a quella porta, si udivano soffiare dall’altra parte i venti della pazzia.”) e infine non resta che la collusione: si può sempre scegliere di combattere… se ci si ricorda di poterlo fare. Se ci si ricorda di averlo già fatto.

“Mi ero dimenticato di tutto quello che significava essere un ragazzo.”

Quella promessa così solenne, tanto importante da dover essere firmata col sangue, è stata presto scordata da tutti. Crescendo, I Perdenti, proprio quelli che avevano sconfitto il male solo perché credevano nel valore delle convinzioni, solo perché credevano che se i mostri delle storie possono essere feriti allora It poteva essere ferito, e che se poteva essere ferito allora poteva anche essere ucciso, e che finché sarebbero stati insieme avrebbero avuto la meglio, gli unici ad aver visto l’orrore e a poterlo raccontare, gli unici a conoscere la verità, e quelli che, beh, toccava a loro, il compito di fermare la spirale di morte che altrimenti non si sarebbe mai arrestata… crescendo, quei Perdenti hanno scordato tutto questo. Hanno scordato che la storia non è ancora finita. Hanno scordato che avevano promesso di ritrovarsi, il giorno che It fosse tornato, diventando loro stessi gli adulti corrotti dal benessere che tradivano le promesse fatte ai bambini che erano stati. Con la stessa facilità con cui scordiamo di aver promesso a un bambino che sabato lo avremmo portato a mangiare un bel gelato. Quel bambino che ha aspettato fiducioso quel sabato per tutta la settimana. Non siete diventati un po’ più adulti anche voi così? Non è così che ci tradiamo anche noi ogni giorno, dimenticandoci di esserci promessi, un giorno d’estate, che da grandi noi non saremmo mai diventati così?

“Fammi vedere come si vola.”

Poi c’è il sesso, la corruzione tout court, e vien da chiedersi se Stephen King riscriverebbe lo stesso romanzo dovendo farlo oggi. Probabilmente no, ma cosa è successo, nel 1958, dopo che I Perdenti hanno ricacciato indietro il male? Si sono persi, ecco che cosa è successo. Immemori e affranti, sfiniti e tuttavia ancora incompleti, non sono stati più capaci di trovare la strada per tornare indietro. Una volta costretti a crescere, non sono stati capaci di ritrovarsi. Hanno perso la fiducia in loro stessi e tra di loro, nessuno ha il coraggio di dirlo, ma sotto le fogne, nessuno è più come prima. Ora che hanno visto in faccia la morte, adesso che hanno guardato oltre i pozzi neri, adesso che conoscono quanto grande e inspiegabile è in realtà il mondo, non sono più gli stessi. Il gruppo e la coesione sono andati, ed è Bev ad averne l’intuizione. Non sa bene perché, non ne capisce il motivo, ma è certa che non possano più comunicare come prima. È certa che per ritrovare quel legame che li aveva portati fin lì è necessario passare per quella cosa dei grandi, quella dalla quale il padre l’ha sempre messa in guardia e contemporaneamente quella con cui l’ha minacciata, sì, quella cosa orribile che rende così strano il rapporto con lui.

Viene a lei per primo perché era il più spaventato. Viene a lei non come l’amico di quell’estate, né come suo occasionale amante, ma nel modo in cui sarebbe andato da sua madre solo tre o quattro anni prima, per farsi consolare […]

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