Vivere leggendo

“Gli istrici” di Valentina Di Cesare: scegliere di restare

“Gli istrici” di Valentina Di Cesare è un libro che, attraverso la simbologia delle stagioni, offre a chi legge un ampio panorama di riflessioni al quale affacciarsi con il desiderio sincero di conoscersi e, a volte, di perdonar(si). Con una scrittura semplice ma sicura di sé, la scrittrice lascia parlare le emozioni e ogni sentimento dei suoi personaggi, scegliendo come teatro un paesino nascosto tra le valli degli Appennini. Nel quasi totale abbandono di una terra ormai poco abitata, ricordi, rancori, lutti e incomprensioni si animano a testimonianza di qualcosa che non è mai del tutto scomparso.

È l’autunno ad aprire la narrazione, attraverso la figura di Francesca. Una donna sola, ingabbiata in un lutto che non è solo quello del nero dei suoi abiti. Il dolore della perdita le ha scavato un abisso nell’animo che non riesce a colmare ma che, al contrario, cresce alimentato da un rancore sordo, una convinzione cieca la quale non ammette ragioni diverse da quella che, ormai, ha messo radici profonde. Forse, solo un modo per andare avanti. Un cibo velenoso da assumere a piccole dosi per prolungare un’agonia paradossalmente necessaria.

Che guaio avere un cervello buono solo a distruggere!

L’autunno lascia il posto all’inverno. La natura cambia il suo abito, i colori assumono nuove sfumature, fredde e rigide come la solitudine che scandisce le giornate di Vittorio. Un giorno dopo l’altro, gesti che si ripetono a memoria, un copione ormai stropicciato che non ha più bisogno di essere rivisto. La vita non fa sconti, non guarda indietro, non premia e non condanna perché, alla fine, siamo noi ad attribuirci medaglie e note di demerito.

Non ebbe la pazienza di perdonarsi, gli venne più facile sentirsi in colpa.

Come su di un calendario appeso al muro della cucina, i giorni si succedono impazienti, desiderosi di tingersi di luce nuova. E nuovi sono gli occhi che si posano con indulgenza sull’esistenza umana. Nuove sono le vedute, suggestivi gli scorci, diversa la musica. La primavera si prende il suo spazio, reclama a gran voce i suoi diritti. E lo fa attraverso la sensibilità di un uomo venuto da lontano.

I quadri di Doì regalano, al paese e ai suoi abitanti, una nuova consapevolezza, una maturità che fa breccia negli animi, forse rassegnati, di chi comprende l’inevitabile e decide, finalmente, di spostarsi, di fare il primo passo. Quello necessario al cambiamento. E così l’autrice ci regala un dipinto sereno, un affresco rinnovato, un cambiamento di rotta che porta il ricordo a non alimentarsi più di rancore.

I luoghi sono la nostra salvezza, non hanno responsabilità, non sanno né hanno niente, se mai hanno un destino ma non è stabilito né dall’erba che li infesta, né dalla terra che ne fodera le strade, né dal vento che vi spira. La loro forza sta nell’essere quello che sono, ingloriosi e gloriosi sia di giorno che di notte.

L’estate. La stagione della luce, del caldo, dell’energia. Tempo di uscire, di muoversi, di divertirsi. Adrenalina pura e la voglia instancabile di fare cose nuove. Come quella dei bambini. Come quella di Carla, ritrovatasi a vivere in un posto sperduto con una famiglia che si sgretola sotto i suoi occhi. Carla giudiziosa, premurosa, curiosa. Avida di vita. Pronta a nuovi cambiamenti. Di una inconscia resilienza che la fa maturare in silenzio e non priva di imbarazzo. Carla, come una rondine che arriva per poi ripartire.

Tutti se ne vanno e si spostano come rondini eternamente forestiere, e volano via prima o poi, abbozzando la cupola celeste di mille svolazzi neri, parabole di ali spuntate, allegorie di coraggio.  

L’uomo e la natura, il ricordo e il rimpianto, i desideri sepolti e le aspettative deluse. I paesi che si svuotano, le persone che se ne vanno e quelle che restano. Quelle, poche, che ritornano. Voci, silenzi, paure, piccole gioie. Profumi, colori, pioggia, neve, sole, verde e azzurro. “Gli istrici” di Valentina Di Cesare è tutto questo. È un libro che conquista con dolcezza, senza far rumore, a passi lenti. Non scuote ma apre alla riflessione, invitando a guardarsi attorno e dentro di sé. Non è invadente ma ospite educato con il quale intrattenere una conversazione che diventa dono reciproco.

È un libro pieno di immagini, di parole che scattano fotografie nitide e restituiscono, a chi legge, tramonti suggestivi, ombre confortevoli, prati selvaggi e aria fresca della sera. Proprio come un paese abbandonato, detentore di verità nascoste e di possibili rivelazioni. Un paesaggio vario, di quelli che non si trovano più ma che sono pronti a regalare quella libertà che oggi si sta perdendo un pezzetto alla volta.    

Valentina Di Cesare è nata a Sulmona. Vive a Milano dove insegna. Ha pubblicato diversi romanzi e suoi racconti sono presenti in varie antologie di narrativa italiana contemporanea. Collabora con la casa editrice “Radici Edizioni”.

 

 

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