Una porta si apre, un uomo fissa l’abisso, e l’abisso inghiotte un uomo. E poco importa che il piede dell’uomo si sia fermato prima di varcare la soglia. Un’altra porta sbatte sferzata dal vento e, come tamburo, chiama un uomo alla battaglia per riprendersi la vita. E poco importa che un’altra vita valga appena mezzo pacchetto di sigarette e il tempo di fumarlo.
La discesa nell’abisso in questo romanzo americano è lenta, inesorabile e percorsa con una sorta di catartica accettazione, forse innescata dalla “mediocritas” tutt’altro che “aurea” di un padre imbalsamato in un giornale di provincia buono solo più per i necrologi. Il peso specifico del destino si avverte fin dalle prime pagine, e a incarnarlo saranno due donne: una stringe la gola di questo grigio avvocato di provincia da diciassette anni con la forza ferrea di uno sguardo comprensivo e indulgente, l’atra lo guiderà verso la sensualità della trasgressione.
Ma torniamo alle Porte.
Le Porte sono pericolose, gli anglosassoni campano da tempo con le “sliding doors”, gli europei le vagheggiano e un belga avvisa del pericolo. E visto che poi qualcuno mi chiederà perplesso “ma le è piaciuto?”, mi tocca fare l’antipatico e rispondere a domanda con una domanda: ma secondo lei potrebbe non essermi piaciuto un romanzo in cui l’approfondimento psicologico del protagonista raggiunge profondità da batiscafo con la leggerezza di un aliante?
Ora, la mia similitudine è orrenda ma questo romanzo è un romanzo meraviglioso.
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“La mano” di Georges Simenon, Adelphi Edizioni. I libri di Riccardo