L’acredine genera ruggine. Crea quella crosta che corrode i sentimenti. Fiacca l’anima anche se ti butti in avanti per non essere imprigionato da fatti ammuffiti. Alcuni vecchi episodi avanzano per rivendicare la verità che l’acredine ha oscurato. Il fuoco dell’invidia, della rabbia, non si spegne se i carboni vengono attizzati continuamene. Il pensiero rimane fisso su quello che è rimasto a metà, incompiuto.
In Resta quel che resta di Katia Tenti senti addosso sessant’anni di storia di alcune famiglie che hanno vissuto nella terra di confine. È il 1925, il Sϋdtirol accoglie gente che viene da altre regioni, i forestieri fascisti che scappano da un destino infame. Sulla linea di confine campeggiano l’odio e gli scontri: i tedeschi da una parte e gli italiani dall’altra. Il Sϋdtirol è una terra da difendere, a tutti i costi, è un luogo dell’anima e quello del riscatto. L’oppressione e la miseria sono bocche spalancate per divorare ogni cosa finanche la pazzia. Eppure, la follia, quella vera, resta muta e coglie il bene dal male, annusa i cambiamenti e rimane fedele alla bellezza dei sentimenti.
Il romanzo è meraviglioso. La narrazione è autentica, procede senza sbavature. Il lettore avverte e vede tutto. Sente anche le lettere strascicate di chi fa fatica a parlare, ne coglie i discorsi muti e si fa piccolo dinanzi a quelli brutali. La prosa è fuoco, vento, paglia e nuvole. Lo stile di scrittura porta aria fresca, è pulito quasi a mormorare segreti di famiglie che si intrecciano con una potenza di acredine.
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“Resta quel che resta” di Katia Tenti, edizioni Piemme. Dream Book.