Identità, solitudine, marginalità, amore, guerra, droga, prostituzione, morte. E ancora: depressione, lotta per ritrovare se stessi, disperazione, alcolismo, trasgressione. Sono queste le tematiche sviluppate nel romanzo “Bufali in marcia al mattatoio” dell’autore cubano Ahmel Echevarría che, dopo aver ricevuto importanti premi a livello nazionale e aver collezionato partecipazioni alle Fiere Internazionali dei Libri in Latinoamerica e negli Stati Uniti, viene pubblicato per la prima volta in assoluto in Italia dalla casa editrice romana Efesto.
Una storia dura, cruda, aspra, che ci permette di esplorare il mondo dei perdenti, di quelli che non ce l’hanno fatta ma che non si rassegnano e sgomitano e scalciano per non finire lì dove un’unica opzione è possibile: al mattatoio.
Un romanzo per lettori dallo stomaco forte
Quello di Ismael e degli altri protagonisti del romanzo è un viaggio ruvido, complicato, per lettori dallo stomaco forte, abili a incassare il colpo che ogni parola scritta dall’autore cubano è pronta a sferrare. Ad accompagnarci in questo tour della marginalità è Ismael, ex soldato che ha combattuto la guerra in Iraq e che, una volta tornato in città ha a disposizione una manciata di soldi e un piano: escogitare un piano.

“Sei mai stato in fila coi veterani di guerra che aspettano di riscuotere la pensione dell’esercito? Moncherini, protesi, stampelle, bastoni, gesti esagerati e un racconto infinito di combattimenti, medaglie, bombardamenti, pioggia, poco cibo e niente sonno. Nessuno parla della paura, del giorno in cui le raffiche di colpi e le mine polverizzarono più della metà del suo plotone. Dovevamo caricare il fucile, abbandonare l’illusoria sicurezza del fondo della trincea o delle macerie dove ci nascondevamo. Dovevamo tirare fuori la testa e sparare. Non tutti avevano la forza di farlo. La maggior parte del reggimento aveva bisogno di un incoraggiamento e di un calcio nel culo”.
Il protagonista di Bufali, però, la sua guerra l’ha già combattuta, e non in mezzo all’oceano, bensì nel deserto iracheno e il suo è un grido d’aiuto disperato che lancia al lettore: Ismael è sceso dal suo aereo da guerra e ha una forte, impellente, necessità: ritrovare un’identità, una nuova collocazione all’interno di quella società che lo aveva salutato come soldato e lo ha riaccolto come un numero.
“Ti racconteranno del sole a mezzogiorno di Al-Jumhuriya al-‘Iraqiya, della sabbia, dell’odore di polvere da sparo e carne putrefatta, del caldo. Scherzeranno sui vestiti e sulle donne, sui mercati, sul cibo e sul traffico. Ma non ti diranno quasi niente delle facce, delle urla, degli occhi e neanche del silenzio dei civili quando vedevano avanzare le nostre truppe. Nessuno ti parlerà della calma, nessuno ti parlerà del silenzio di Al-Jumhuriya al-‘Iraqiya.
Che ne sai della calma?
Che ne sai tu del silenzio?”
Una guerra che uccide i sopravvissuti
Il ricordo della guerra è presente, percorre tutto il romanzo. Una guerra che uccide, non solo i caduti ma anche chi è rimasto vivo, chi è sopravvissuto ed è tornato a casa con mutilazioni. Una guerra che uccide la vita, i sogni, i desideri, gli amori, che lascia in eredità un’enorme voragine che crea un eco di disperazione nella quale trovano spazio la droga, l’alcolismo, la vita sregolata, l’amore a pagamento e il sesso sfrenato, piccoli gesti quotidiani ed estremi che diventano l’ultimo appiglio per sentirsi, almeno un po’, vivi.
“Non voglio che qualcuno di questi zombie provi a stringermi la mano per farmi credere che facciamo tutti parte di una stessa famiglia.
O facciamo veramente parte di una stessa famiglia?”
Ismael non vuole finire come gli altri, non vuole terminare la sua corsa come gli altri perdenti che si avviano, col loro numero marchiato sul dorso, verso il mattatoio. A differenza degli altri reduci di guerra con i quali si incontra nella fila mensile in banca per riscuotere la pensione dell’esercito Ismael ha il suo piano: crede, o forse spera, di potercela fare, di poter uscire da quel pantano di marginalità che ingloba e trascina giù con sé tutti coloro che sono stati lasciati da soli nella lotta quotidiana contro se stessi.
Con uno stile asciutto, con pochi fronzoli, con una scrittura molto verbale, l’autore Ahmel Echevarría ci catapulta in un mondo di solitudine, nel quale si percepisce la sofferenza dell’essere umano abbandonato al suo destino. Bufali in marcia al mattatoio è romanzo che si potrebbe definire cinematografico per la straordinaria capacità dell’autore di mettere davanti al lettore non solo un testo ma anche una serie di immagini accompagnate da suoni, colori, odori, sensazioni, sentimenti: il lettore vede, tocca, annusa, sente e accompagna l’ex soldato Ismael nel racconto di una vita da ricostruire. In un contesto fatto di carne, suoni, odori è la fisicità dei corpi a scandire il tempo di un libro in cui le maratone di sesso lasciano ben presto il posto a brucianti riflessioni sulla guerra, la pace, la storia, la morte, la fede, la solitudine.
Ahmel Echevarría, esponente della generación 0
Articolo pubblicato sul numero di Left di maggio 2019.
“Bufali in marcia al mattatoio” di Ahmel Echevarría, Edizioni Efesto.