Iniziare un figlio all’amore per la Roma è una grossa responsabilità. Devi essere consapevole che lo stai consegnando a una passione che non sarà ricambiata da soddisfazioni continue, ma da fragorose rare gioie. Ero bambina negli anni ’70. So cosa vuol dire.
“Trattenevo il respiro, ero morto. Dopo un quarto d’ora d’apnea, pareggiammo. Precisamente a un’ora e un minuto di gioco. Grazie al nostro centravanti, e non saprei dire di più perché in quel momento successe qualunque cosa. A casa mia si abbracciavano tutti, anche certe zie che non si parlavano da prima che nascessi, e un parente che doveva centomila lire a un altro da tre anni, anche loro due si abbracciavano. Entrarono con le bandiere altri inquilini che stavano a pigione nello stabile, e qualcuno disse che non importava, che tanto <<semo tutti mezzi parenti>>”
Mio padre, le poche volte che andava all’Olimpico, portava mio fratello e non me, “che sono femmina”, lasciandomi a casa a fare i compiti con la radiolina accesa su “Tutto il calcio minuto per minuto” e una schedina del Totocalcio, dove annotavo via via i risultati aggiornati (chissà perché). In camera avevo attaccato al muro la maglia numero 5 di Falcao, l’aveva regalata la Barilla, nostro sponsor.
Ma arrivò il 14 giugno 1986 e il mio fidanzato 17enne Andrea mi portò (in moto ma non diciamolo forte) alla finale di Coppa Italia. Roma-Sampdoria 2-0 e trofeo a noi. Io e Andrea ci lasciammo poco dopo, anzi lui mi lasciò, ma quella sera è per me indimenticabile. I cori, i tamburi e quel prato verde sotto le luci, quell’amore collettivo così forte, ogni volta che torno allo stadio mi rimonta dentro quell’emozione, come fosse la prima volta. Come la sera con Andrea,
Tre anni fa ho portato mio figlio grande, per il suo battesimo da lupacchiotto. De Rossi dava l’addio al suo popolo, Mister Ranieri allenava e sotto una pioggia leggera il prato era lucente. Ho la responsabilità di aver passato a mio figlio un amore cui sarà fedele, perché a nulla si è fedeli come la squadra del cuore, che lo farà soffrire, lo deluderà e lo riprenderà da un pozzo di delusione per portarlo improvvisamente sulle stelle.
La gioia fa parecchio rumore
C’è tutto questo nel libro di Bonvissuto, ci sono io che ho sorriso ed ero in ogni pagina, io che festeggio ogni anno il 21 aprile e faccio gli auguri di compleanno alla Regina delle città, io che ho finito di leggere il libro la mattina della finale della Conference Cup, ma non ho scritto nulla prima della partita (cabala!!), perché la scaramanzia è importante.
“Il vantaggio di essere romano, forse l’unico, è il diverso rapporto che si ha con la bellezza: nella vita degli uomini inciampare nella bellezza è un evento assolutamente straordinario e miracoloso, ma per chi è nato qui la bellezza è qualcosa di familiare, di consueto. Anche banale. Siamo immuni dalla sindrome di Stendhal…”
Ogni tifoso di ogni squadra credo si possa ritrovare, ma poche squadre generano amori così irragionevoli, laceranti e fedeli. Gioie tanto fragorose, forse perché non scontate. Per noi il successo è la scalata del K2, non la passeggiata sul prato. Ma vuoi mettere guardare da lassù?
“La gioia fa parecchio rumore” di Sandro Bonvissuto, Einaudi Editore. Fertilemente.
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