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“Che cosa c’è da ridere“ di Federico Baccomo: recensione libro

Scrivere di un libro che parla di olocausto è poco meno difficile di scrivere un libro che parla di olocausto. Le dita vanno a martello sulla tastiera cercando di non scrivere la parola, la frase, o il pensiero sbagliato. Basta un attimo per diventare farsa o per scendere nel pietismo, basta un attimo per trasformare l’argomento in un pretesto. “Che cosa c’è da ridere“ di Federico Baccomo lo fa con ironia, con leggerezza, ma anche con una delicatezza e del sentimento autentici, tanto che quando si è chiusa l’ultima pagina, ci si rende conto di aver rinnovato per qualche giorno l’impegno della Memoria.

La ribalta è bella

Cito un’altra grande storia italiana sull’olocausto. Sarà un accostamento banale ma è il collegamento che ho fatto arrivato a un certo punto del libro. Tutti e due usano la commedia e la comicità per abbassare le difese del lettore/spettatore e quindi colpire al petto. Fortunatamente Baccomo ci va con una mano più leggera di Benigni, ma non per questo la sua lezione è meno importante.

Eric Adelman è un ragazzino oppresso dal padre, il signor Rudolf, un uomo tanto probo quanto burbero, che fa scontare al figlio il peggior delitto che uomo possa commettere verso un genitore.

“Che cosa hai fatto, mostro?” furono le prime parole che gli disse il suo papà, rientrato di corsa a Berlino, quando si trovò di fronte il figlio. “Mostro, che cosa hai fatto?” Ma che poteva aver mai fatto quello scarabocchio d’uomo, così leggero, così fragile, più simile a un uccellino che a un neonato, in lotta tra la vita e la morte, che cosa poteva aver mai fatto? Niente. Eppure, “Che cosa hai fatto, mostro?” gli urlò il signor Rudolf piegato sul suo faccino rugoso. “Si può sapere che fretta avevi di poggiare quei tuoi piedini da bestia su questo mondo schifoso?”
Prima ancora di una coperta, il suo papà gli aveva già messo addosso una colpa.

Così Eric cresce senza madre e con un padre che non mostra un briciolo di empatia.
A parte il calore di una famiglia, non gli fa mancare nulla. Nulla che non sia fatica. A casa del signor Rudolf, non c’è niente da ridere, c’è solo da crescere e diventare uomo.

Poi succede che un giorno Eric incontra un reduce su un carrellino. Succede che il reduce per uno spicciolo gli cede la cartolina di una ragazza completamente nuda. Succede che Eric vede quella stessa ragazza sul manifesto di uno spettacolo. Succede che il padre scopre la foto proibita e lo mette in punizione. Poi succede che Eric scappa per raggiungere il locale dove si dovrebbe esibire il suo sogno erotico e invece si imbatte nello show di Walter, un comico in decadenza, ma con ancora molte battute in canna. Succede che Eric non riesce a trattenere la risata, che ride così forte da farsi scoprire. Succede che Eric, adesso, vuole diventare un comico.

“Che cosa c’è da ridere” secondo Federico Baccomo

Cosa c’è da ridere di Federico Baccomo – Mondadori

Tra i libri che ho letto di Baccomo, a memoria, questo è quello con lo stile più scanzonato. Eric comincia la sua avventura che non è nemmeno adolescente e quindi l’autore ci porta al suo livello usando frasi colloquiali, dirette, e senza fronzoli. Ma non c’è da temere sull’efficacia della scrittura, nonostante l’umore scanzonato del protagonista e del romanzo, lungo la narrazione ci sarà modo di fare riflessioni giuste, nuove, e di sentirsi smarriti di fronte agli abissi in cui può sprofondare l’umanità.

Mi rendo conto solo adesso di aver trascurato dettagli importanti sul protagonista e i personaggi che gli girano intorno: vivono in Germania e ovviamente sono ebrei. La prima parte del romanzo è il percorso che Eric compie per inseguire il suo obiettivo. Strappa un incontro a Walter, cerca di capire cosa scaturisce una risata, e da lì in avanti il suo unico movente sarà quello di riuscire a far ridere. Scrive battute, monologhi, si esibisce su qualsiasi palco gliene dia la possibilità. Lo fa di nascosto dal padre, con un nome finto. Mette in ridicolo se stesso, la sua disgraziata famiglia, e dato che c’è, pure gli ebrei in generale. Non è un peccato così mortale, quando non c’è nessuna colpa nell’essere ebrei. Nella sua breve ma lanciata carriera riesce pure a incontrare la sua musa, Anita. Le scriverà delle canzoni comiche per i suoi spettacoli softcore.

Va tutto per il meglio, finché non cominciano a soffiare venti pericolosi. Un battito di ciglia e nell’aria vorticano idee bizzarre. Gli ebrei sono diventati i responsabili della decadenza tedesca. E quindi i loro negozi vengono piantonati, poi bruciati. Poi è tempo di guerra, di segregazione, di campi di concentramento.

Una brillante serata

L’incipit del libro comincia a questo punto, nel campo di Westerbork (Paesi Bassi). Eric e la sua piccola famiglia le provano tutte per sfuggire alla chiamata del martedì, quella dove un camion raccoglie gli ebrei scritti in una lista e li porta ad Auschwitz. Nessuno sa cosa succede veramente ad Auschwitz, ma si dice che da lì nessuno sia mai tornato. Evitare di finire in quella lista è il compito più importante di ogni ebreo rinchiuso a Westerbork.

Il comandante Gemmerick per fare bella figura con gli ospiti in visita al campo, decide di affidare a una compagnia di ex attori e mestieranti il compito di tirare su un piccolo spettacolo. Tra questi c’è anche il nostro Eric. Finché lo spettacolo funziona, finché le SS si divertono, Eric è sicuro che un accordo non scritto garantisce a lui e alla sua famiglia l’esclusione da quella maledetta lista.

Qual è il compito del comico, dell’espressione e dell’arte in generale? Fino dove è lecito spingersi per avere salva la pelle? Vendersi al più spregevoli dei nemici e accettare il loro stesso livello di meschinità, trasforma forse un uomo libero in un uomo corrotto? Sono alcune delle domande che Eric si pone sul finale del romanzo, una riflessione sul ruolo delle parole, sull’animo, sui compromessi leciti nei tempi più bui che l’autore gira al lettore.

Poi si è già nel finale. Si gira l’ultima pagina grati per la lettura e l’impegno di pochi che riescono a tenere in vita la speranza di molti.

Che cosa c’è da ridere“ di Federico Baccomo, Edizioni Mondadori, 2021. Malditesto.

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