Interviste

Le interviste agli autori: Giselle Lucía Navarro – Cuba [Video]

La giovane età non inganni: Giselle Lucía Navarro è una delle voci poetiche più interessanti del panorama latinoamericano. Nata a Cuba nel 1995, Giselle Lucía ha ricevuto già due importantissimi riconoscimenti: il Premio La Edad de Oro di poesia nel 2018, e il Premio David nel 2019. A luglio del 2021 è uscito in Italia il suo primo libro di poesie: Criogenia, pubblicato dalla casa editrice Ensemble. Di seguito potete leggere l’intervista alla giovane poetessa cubana. (la versión en español en la página siguiente). 

Intervista a Giselle Lucía Navarro, autrice del libro Criogenia, edizioni Ensemble

Criogenia è un libro molto intimo, personale, nel quale attraverso la poesia si toccano le corde del dolore. Congelare un corpo umano diventa dunque un esercizio di protezione?

È veramente possibile congelare un corpo umano? Quanta umanità rimane al di là della sopravvivenza? Sopravvivere è un atto di valore o di paura, un istinto o una rassegnazione? Criogenia è un libro che si sostiene sull’ambiguità, nulla è esattamente come sembra. La sua naturalezza risiede nella complessità delle cose semplici, quasi come una provocazione: è concepito per essere apprezzato nella sua totalità piuttosto che nelle sue singole parti, come una somma matematica. Diciamo che Criogenia è nato come una performance di scrittura in cui ho ricostruito la mia intimità per un tempo e un periodo determinato, durante il quale era necessario praticare un esercizio catartico di protezione, andando anche contro me stessa, con la sfida di semplificare la parola fino a eliminare qualsiasi metafora o tipo di linguaggio articolato. Trasformare la poesia in un atto intimo che anziché inoculare immagini e sentimenti nei lettori consentisse loro di crearseli.

Una raccolta di poesie che ha una struttura abbastanza peculiare: mediante le poesie che hanno la forma di organi si va formando il corpo di una donna, che sembra nascere dopo un lungo parto, doloroso ma necessario. Chi è questa donna e da dove nasce?

La mia pazzia è sacra, non la tocchi nessuno, disse Dalí. Dove non esiste fine non c’è principio, e ciò che viene nascosto rivela più di quello che viene mostrato. Ogni donna ha dentro di sé molte donne, anche altri esseri. Il corpo del libro è una struttura androgena che tende a pendere di più verso il genere femminile. Potrei descrivermi o annullarmi. È questo il punto in cui nascono questi testi, che partono dallo spazio corporeo, dove ogni organo si associa a una parte del carattere o della coscienza dell’individuo. Un essere giudicato attraverso la memoria e l’oblio, attraverso le cose effimere e soggettive, il dolore, ma sempre con uno spiraglio di luce. In queste pagine c’è molto della donna che sono e che sono stata, ma non era mia intenzione rivelarmi, piuttosto voglio che le lettrici e i lettori vedano se stessi mentre leggono le poesie.

C’è un elemento ricorrente nei versi, il proiettile. Che può uccidere, ma anche curare l’animo umano. Cosa simbolizza per te e in che modo il proiettile può curare?

È una domanda che mi rivolgono spesso quando parlo di questo libro, ma alla quale non finisco mai di rispondere. La risposta definitiva risiede nel libro che segue Criogenia, che ho finito di scrivere nel 2020. Mi piace tessere la poesia inseguendo la continuità, perché la poesia è ciò che precede e che rimane di noi quando non ci saremo più, qualcosa che trascende della nostra condizione umana. I miei libri non sono strutture isolate, ma parti di me che quando toccano l’aria smettono di appartenermi. Pertanto quel significato si riesce a raggiungere leggendo tutta l’opera dell’autore, non un solo libro. Uno dei significati di quel proiettile potrebbe appunto essere la continuità, presenza costante nei miei atti creativi, che presuppongono concatenamento, macerazione, distacco, un gesto in sé doloroso, assurdo, purificatore.

Un altro tema ricorrente nei versi è la morte, che a volte appare necessaria, ma che non è necessariamente sinonimo di punto finale. È possibile rinascere dalle proprie ceneri perché i passi falsi e la distruzione non significano sempre sconfitta, ma possono formare parte di un processo di ricostruzione che serve per imparare e crescere. Dunque qui entra in gioco il modo di porsi e la forma in cui si reagisce davanti a questi eventi negativi che possono rivelarsi addirittura positivi?

Il tema escatologico è presente in quasi tutti i miei libri. Per me l’atto di morire ha troppi significati e volti diversi. È una sindrome del mistero, del quale non avremo mai una sola verità possibile in mano. Torno sempre al momento in cui la respirazione può interrompersi, quel momento di asfissia segna un limite o lo rompe, è qualcosa che inseguo durante i miei processi creativi, quei momenti di asfissia, ciò che è ambiguo, terribilmente sottile e semplice. C’è molta vita nella morte.

Nei tuoi versi menzioni la tua famiglia, che appare come una colonna che sostiene questa donna che va formandosi. Che ruolo ha avuto nella tua vita?

Chi dimentica le sue radici e le sue origini finisce per fallire. La famiglia è sempre il punto di inizio, anche quando si è orfani, perché si continua ad avere un’impronta relativa alla semplice generazione. Mi piace parlare di loro sempre al presente, nonostante la vita sia una continua metamorfosi. Mi sono nutrita delle presenze e delle assenze, perché hanno lasciato il segno sulle radici di cui parlo nella mia opera. Nei miei lavori, anche nel disegno, parlo molto di me, in modo reale o fittizio, soprattutto per creare una cornice e aiutare a generare una prospettiva. La famiglia dei miei libri non è sempre quella del cromosoma, anche se esistono punti di contatto che vesto e svesto con la parola, ma sempre dal punto di vista dell’amore. Credo che non sia facile e può essere anche complicato a volte gestire i miei istinti creativi, che sono in costante movimento, ma il ringraziamento è infinito, perché la famiglia ti sostiene, anche quando non ti capisce, è un albero sacro.

In Miocardio parli della semplicità. Racconto sempre che l’eredità che ha lasciato la mia breve esperienza di vita all’Avana è stato esattamente questo: imparare a dare valore alle piccole cose, perché la semplicità è qualcosa di importante in questo mondo che corre molto velocemente. Ti chiedo, dunque, cosa è per te la semplicità? Credi che stiamo perdendo la capacità di capirne l’importanza?

Nel periodo in cui ho scritto Criogenia avevo già cinque quaderni di poesia nascosti nel cassetto, due romanzi per bambini e tre saggi. Avevo 22 anni ed ero molto delusa dal mondo letterario, forse perché lo avevo assaporato con troppo anticipo, e ogni eccesso porta le sue conseguenze. Esistevano strutture sociali costruite intorno al fenomeno corporativo degli scrittori con i quali non mi identificavo e non mi identifico. Ho smesso di inviare le mie opere ai concorsi e sono stata cinque anni senza partecipare agli eventi, godendomi semplicemente l’atto di creare in silenzio. A Cuba i premi letterari sono spesso la porta che ti collega al mondo editoriale, e un autore scrive per necessità spirituale, ovvero per comunicare ciò che scrive. Non ho mai pensato di pubblicare questo libro, ma poco prima di finire la mia tesi di laurea ho detto: “perché no?”. E l’ho consegnato quello stesso giorno. Un rischio, ma l’istinto fa fare queste scelte, e finora non me ne sono pentita. Con Criogenia ho fatto qualcosa di diverso nella mia opera, cioè provare a guardare da un’altra parte. La semplicità abita sempre nel cuore di chi non si lascia distruggere, di chi resiste, negli esseri che conservano la sensibilità perché hanno scoperto in tempo che è il motore che ci mantiene vivi su questo pianeta. Non vogliamo vivere in un mondo deserto, per questo è necessario comprendere la diversità di pensiero, di atteggiamento, di emozioni. Un artista deve contaminarsi con ciò che è intorno a lui, ma conservando ciò che è puro. Chi lavora con le parole, con il pensiero, ha bisogno di umiltà, semplicità, tolleranza, sensibilità, tempo di meditazione e, soprattutto, di allenare la sua capacità di equilibrio e di coerenza tra tutte queste cose. Viviamo in un mondo spumeggiante, bulimico, profondamente mimetico, che ha bisogno di cambiamenti, trascendenze, evoluzioni, ma non credo che abbiamo perso la capacità di percepire la semplicità: fino a che saremo esseri umani la porteremo dentro, ciò di cui abbiamo più bisogno è tornare a percepire noi stessi, guardarci dentro, fermarci per poi riprendere a camminare.

 

Nella tua poesia si può apprezzare un linguaggio diretto, semplice, molto efficace. Non cerchi esercizi di stile, tantomeno strutture complesse. La sensazione è che queste poesie siano uscite direttamente dal cuore. In una di queste definisci la poesia come “maschera, bandiera, arma”. In un’altra confessi che smettere di scrivere significherebbe perdersi per sempre. Ti chiedo: che significa per te scrivere poesia? Dove mira la tua poesia?

Criogenia potrebbe essere caratterizzato da questo linguaggio diretto e semplice, ma è una finestra diversa rispetto agli altri libri. Hanno pochi punti in comune, sono pieni di contrasti, soprattutto gli scritti in decima, dove la metafora è più palpabile ed esplosiva, senza arrivare a essere una scrittura barocca. Se sono efficaci o meno lo dirà il tempo. In questo libro, come nel disegno, “meno è di più”. Costruire la parola, congelata, nuda, come se liberasse ognuno dei suoi volti e ogni verso avesse nascosti altri significati rispetto alla frase esplicita: questo suppone un altro livello di complessità, richiede un altro tipo di sensibilità da parte del lettore affinché il messaggio arrivi. Lo scrittore si assume il rischio e questa, in particolare, è una delle cose che amo della scrittura, dell’arte, della vita: che non siano mai terreni sicuri, che richiedano al lettore ogni istante della sua respirazione e della sua energia. Ho iniziato a scrivere da giovanissima, e molte volte mi sono sentita stanca, esausta, ma quegli stati d’animo, quella morsa di emozioni caotiche fanno parte della creazione, se non esistessero la scrittura sarebbe qualcosa di artificiale e i libri non nascono dalle macchine, bensì sono atti umani, fatti a immagine e somiglianza dei loro creatori, pieni di virtù e difetti. Per me scrivere (l’atto di partorire l’idea) è sempre equilibrio, travaglio, connessione con la mia naturalezza umana e l’universo, una fonte di energia inesauribile. La poesia come veicolo di pace, che ci permette di riflettere sulle interiorità dell’animo umano, sulle sue bellezze e crudeltà. È l’arma con la quale trasformo la parola, nello scritto o nelle arti visuali, per arrivare agli altri. Scrivo per l’essere umano, miro al suo cuore. Voglio che le mie poesie arrivino al suo cuore e non solo alla testa, perché quelle che arrivano al cuore ti cambiano la vita. Per me la poesia non è intrattenimento, è una cosa molto seria, come una missione. La parola è sempre ossigeno, e desidero che penetri come un proiettile, un proiettile che curi e faccia risvegliare, che permetta alla persona di guardare a fondo se stessa. Non importa se poi dimentica la poesia, ciò che mi interessa è che la mia parola abbia seminato in quella persona la sensibilità che ci permette di cambiare il mondo.

Abbiamo parlato di linguaggio semplice, ma le parole hanno un peso, un valore importante. In Genitale e Utero scrivi “considero tutto il peso che possiede la parola”. Un famoso regista italiano, Nanni Moretti, in un film del 1989 (Palombella rossa) disse che “le parole sono importanti”. Che peso ha la parola nel nostro mondo attuale, dove anche grazie alle reti sociali siamo soggetti ogni giorno a una pioggia di informazioni? Credi che siamo coscienti dell’importanza che riveste la parola?

La parola ha la stessa importanza che diamo alla vita, perché la nostra natura umana non può sopravvivere senza. Dire una parola e capire tutte le possibili forme di espressione del linguaggio scritto, verbale, corporale. Il linguaggio è la base dei nostri pensieri, della nostra crescita, pertanto è come un organo del corpo. Il suo peso è quasi sempre lo stesso, ciò che cambia è la direzione, la semiotica, la sensazione. Quella pioggia di informazioni ci schiaccia quando non sappiamo mantenere l’equilibrio, perché il nostro cervello funziona di più come spugna che come filtro. Le reti sociali non costituiscono un fenomeno negativo, anzi, possiedono molto vantaggi, e quello principale è che suppongono una sfida per il cervello, l’espressione, la comunicazione, ovvero la sfida di essere sempre più umani in questa altra realtà. La questione se siamo coscienti o meno di questa importanza che ha la parola nella nostra società dipende sempre dai ritmi con cui gestiamo la nostra vita. Uno può non essere cosciente di qualcosa e farlo per inerzia. L’alienazione, l’ignoranza, la saturazione formano parte allo stesso tempo di questo metabolismo mentale di cui abbiamo bisogno per evolvere.

Come entra Cuba e la vita cubana nella tua poesia?

Nella mia scrittura è molto presente, probabilmente in un modo atipico e sottile, non tanto per quanto riguarda i luoghi o i sentimenti. Nei miei romanzi per bambini c’è molto della mia infanzia vissuta qui a Cuba e quella che osservo ogni giorno per le strade. Mi piace camminare da sola per la città, scoprirla in silenzio e osservare ciò che nessuno si sofferma a guardare, togliere la polvere e ridargli luce. Forse questo aspetto emerge in modo più deciso nel mio libro di poesie La Habana me pide una misa, pubblicato dalle edizioni Extramuros. Anche se il mio concetto di Paese e Nazione è diverso dal solito, la terra in cui uno nasce e cresce fa parte della struttura corporale che sostiene. Ho un benedetto vantaggio di discendere da emigrati, quindi porto dentro nel mio spirito altri incroci, un miscuglio di cui sono grata. Ma il mio Paese è sacro, e fluisce come quel mare che contemplo ogni giorno e che sta dappertutto. Cuba non entra né esce, Cuba è parte di me e viaggerà con me eternamente nel modo in cui crescerò.

So che sei un’amante della cultura italiana (e che studi italiano). Credi che in qualche modo la cultura italiana abbia influenzato il tuo stile di scrittura? Chi sono i tuoi autori preferiti?

Sono arrivata alla cultura italiana in modo casuale. Sono molto istintiva e l’istinto è l’unica logica che mi guida. È difficile descrivere il mio vincolo con l’Italia in poche parole, perché è una questione di energia che proviene da diversi stimoli. Ricordo che avevo sette, otto anni ed ero a uno spettacolo al teatro García Lorca (l’attuale Alicia Alonso), perché a quei tempi ballavo. Arrivai molto presto e ci imbattemmo in un gruppo di studenti di lirica che stavano provando la messa in scena di un’opera, non saprei dirti quale. So solo che per una settimana intera mi ritrovai a ripetere quelle strofe e così ogni volta che leggevo qualcosa in italiano c’era qualcosa dentro di me che si smuoveva. Oltretutto a casa mia vedevamo molto cinema del neorealismo e mio zio aveva molti libri d’arte in italiano. Qualche anno dopo iniziai i miei studi nella Società Dante Alighieri. Per quanto riguarda i libri, fin da piccola ho letto i classici di sempre e altri con i quali mi identificai finanche troppo. Di poesia Quasimodo, Ungaretti, Pavese, Alda Merini, Pasolini… sono i nomi che figurano tra i libri a cui ritorno sempre. Non c’è un preferito tra questi. Ora sto cercando di migliorare la lingua, voglio leggere i testi originali, non traduzioni. A Cuba è difficile trovare libri in italiano nelle librerie, ma un modo si trova sempre. Dall’altra parte c’è il design product e la moda, che hanno costruito la mia visione come disegnatrice. Ci sono molti autori che hanno segnato il mio modo di concepire la creazione fin dal processo in situ. Anche per quanto riguarda la figura della donna nelle arti plastiche: per esempio Artemisia Gentileschi e Sofonisba Anguissola, nomi che compaiono a volte nei miei testi e ai quali ho dedicato alcuni articoli. Nei giorni dell’adolescenza il libro del Vasari era sempre nella mia testa. Lo scorso anno è nato il progetto Poeti in Parallelo, Poesia e comunità, di cui sono curatrice e direttrice artistica, ed è una sorta di abbraccio poetico tra i nostri due paesi, dal quale sono nati e nasceranno frutti meravigliosi. Ho conosciuto persone speciali di diverse regioni della penisola, e sebbene è certo che quasi la maggior parte dei giovani che “civettano” con il mezzo artistico hanno guardato all’Italia con uno sguardo di stupore, personalmente l’Italia che vorrei scoprire non è quella che esportano i libri turistici, bensì quella di cui si parla poco: le pietre che raccontano la storia mediante le loro crepe, le strade e i balconi dimenticati dove è rimasta l’infanzia, dove gli anziani si affacciano per stendere le lenzuola (come all’Avana), mentre parlano tra di loro lingue antiche. Un Paese si scopre sempre attraverso le sue zone dimenticate. Insomma, puoi immaginare fino a che punto mi abbia influenzato la cultura italiana. Criogenia, per quei misteri che nasconde la vita, è arrivata per prima al pubblico italiano. A Cuba sarà pubblicata dalle edizioni Unión, della Uneac. Non posso smettere di ringraziare te, Daniel, Matteo e le Edizioni Ensemble per questo incrocio di energie, perché mi sono goduta immensamente l’intero processo di traduzione e la nuova nascita di questa opera, soprattutto in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, in cui ogni piccolo dettaglio acquisisce un altro significato e torniamo ad aprire gli occhi alle cose che hanno veramente importanza. È questo che amo della creazione, che ogni progetto è un piccolo seme. La poesia potrebbe essere semplicemente questo gesto energetico e umano che viaggia da uno spirito all’altro facendo luce.

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Le interviste di The BookAdvisor

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Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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