Il pozzo delle bambole
Il triste destino degli orfani si intreccia alla storia dell’Italia del boom economico
Ne “Il pozzo delle bambole” ci sono tante storie quasi tutto al femminile, che intrecciano le vicende individuali di Nina, abbandonata alla nascita in un orfanotrofio abruzzese, agli accadimenti dell’Italia degli anni Sessanta, passando attraverso i cambiamenti epocali dell’assassinio di Kennedy, i discorsi di Martin Luther King, la morte del Papa buono.
La prima parte è de Il pozzo delle bambole incentrata sulla dura vita del collegio, dove le suore applicano una disciplina di inspiegabile malvagità, sottoponendo i bambini e le bambine a ingiuste punizioni corporali e terribili privazioni. La salute cagionevole di Nina non l’aiuta, soprattutto nell’atteso giorno “dell’esposizione”, quando gli orfani e i trovatelli vengono mostrati ai visitatori con la speranza di essere adottati. Ma questa speranza non si avvera mai per lei, nonostante, come le ricorda ogni volta Olmo, il figlio del fotografo, i suoi occhi che bucano l’obiettivo.
IL DESIDERIO DI ESSERE SCELTA
La ragazza inizia così a nutrire un profondo risentimento, trasformando il desiderio struggente di “essere scelta” in rabbia trattenuta, persino verso suor Immacolata, l’unica persona che l’ha sempre trattata con affetto. Nina si sente esclusa e non voluta, prima da quella madre che l’ha abbandonata in fasce, e che lei si ostina a immaginare come una signora colta e raffinata, poi verso le coppie di visitatori che la ignorano, infine verso il mondo intero che non le ha destinato nessuna gioia, soprattutto quella di avere una famiglia. Nina assurge a simbolo di quei bambini privati del futuro, che porteranno per sempre con sé, feriti e disorientati, il dolore dell’esclusione e invidieranno persino gli orfani che, anche se per poco, hanno conosciuto il calore familiare.
VIVIDO AFFRESCO DELL’ITALIA ANNI SESSANTA
Quando, ormai maggiorenne, Nina uscirà dall’orfanotrofio, si troverà davanti un mondo sconosciuto ed entrerà a far parte del vigoroso affresco storico che l’autrice ha dipinto, descrivendo le proteste delle tabacchine di Lanciano, che scioperano per mantenere il proprio posto di lavoro, la vita di un’Italia attraversata dalla tragedia del Vajont e il fermento delle canzoni popolari e della nuova moda.
Mentre la prima parte del libro assume connotazioni introspettive, indagando i pensieri e i dolori di Nina, la seconda diventa più realista e descrittiva.
La prosa è lineare, scorrevole, a tratti intensa, con alcune pennellate poetiche. Il valore di questo romanzo di formazione, perdono, riscatto ed emancipazione femminile risiede soprattutto nell’intreccio tra le pagine buie della nostra storia di collegi e orfani maltrattati, con le vicende del boom economico di un’Italia ancora ingabbiata nel passato, ma orgogliosamente e faticosamente protesa verso il futuro.
IL VINO
In abbinamento a questa lettura, si consiglia un Trebbiano d’Abruzzo DOC, vino intenso, complesso e di buona struttura, come la personalità di Nina.
LE CITAZIONI
“Non è giusto” mormorò. La frase voleva significare molte cose: la mancanza di equità nel trattamento di orfani e trovatelli; la mortificazione di quell’inutile mostrarsi alle coppie che venivano a scegliere bambini come fossero soprammobili; la sensazione di sentirsi di peso, un fastidio difficile da sopportare”.
“Per cantare una nota, bisogna essere un grado di pensarla, diceva suor Lea, per immaginare il futuro, bisogna avere i vocaboli con cui definirlo. Alla madre, erano mancate le parole”. Da “Il pozzo delle bambole”
“Il pozzo delle bambole”, Simona Baldelli, Sellerio Editore, a cura di Sopra le righe.