Un libro tra le mani

“Come d’aria” di Ada d’Adamo, recensione: Un libro tra le mani

Che “COME D’ARIA”, di Ada d’Adamo,  mi abbia profondamente commosso, emozionato e turbato insieme, è sicuro.

Che la scomparsa dell’autrice, appena due giorni dopo la nomina del libro nella dozzina dello Strega, abbia acuito il mio senso di smarrimento nei confronti della vita, è altrettanto vero.
Viene da chiedersi cosa sia questo accanimento del destino…oltre a mille altre riflessioni…

Ma una cosa voglio dirla subito: questo libro è bellissimo “a prescindere” da quello che è successo!
Guai a pensare che la morte della sua autrice possa innescare un meccanismo di lodi immeritate nei confronti della sua opera, solo perché spinti da compassione e da quel “doverne parlare bene” che spesso segue la scomparsa di uno scrittore.
Non è questo il caso.

“Finirò col disciogliermi in te”

Avevo iniziato a leggerlo (al buio, senza conoscerne la trama) esattamente il giorno prima, rapita da una copertina che già mi parlava di amore e dolore, che già racchiudeva in sé tutto il turbinio di sensazioni che ho scoperto, solo dopo, essere contenuti tra le sue pagine.
Fin dal primo rigo mi sono sentita precipitare dentro le emozioni di questa donna, nel suo smarrimento di fronte ad una bambina, la sua, “Daria“, nata con una disabilità molto grave che avrebbe dovuto essere diagnosticata durante la gravidanza, permettendole di poter scegliere o comunque di essere preparata (almeno in teoria, perché nella pratica non lo si è mai veramente) ad una figlia che non avrebbe mai potuto camminare, né parlare, né vedere…

La consapevolezza non arriva subito, forse perché non vuole vedere, non vuole capire, anche se qualcosa, dentro, la percepisce immediatamente.
Non è facile rinunciare alla gioia della nascita, all’incanto dei primi momenti.
Ma dopo un po’ non si può più evitare la realtà e arriva l’esplosione, il lampo, il tuono che dà origine a quella linea di demarcazione, indelebile, che separa nettamente il “prima” dal “dopo“, e tutto quello che c’era stato, tutta la vita precedente, perde importanza o, comunque, assume un nuovo significato, diverso.

Avere un figlio invalido significa essere soli. Irrimediabilmente, definitivamente soli. Indietro non si torna. Uguale a prima non sarà più. È come se dentro di te si fosse accomodato il punteruolo delle palme che rosicchia la pianta dall’interno piano piano, la trasforma in un involucro pieno di segatura. La superficie resta uguale, ma sotto i bordi, sotto la pelle, non resta più niente.”

Escalation di rabbia e d’amore

Non ci sono parole per descrivere l’escalation di un rapporto madre/figlia che passa attraverso l’inferno di pianti disperati e inconsolabili della neonata, dei suoi movimenti spastici che rendono difficili anche gli abbracci, delle crisi epilettiche di cui non era stata fatta menzione al momento delle dimissioni dall’ospedale, un rapporto costruito attimo per attimo e basato interamente sul corpo, sul contatto, sulla capacità di trasmettere i sentimenti attraverso le mani, la pelle… e che, dopo tanto patire, approda magicamente in una terra in cui la comunicazione in qualche modo è possibile.
Lo sconforto, la solitudine, l’abbandono delle istituzioni, il passaggio lento e doloroso dal “combattere contro” al “combattere per“.

Lo spaseamento di fronte ad una diagnosi di malattia che stavolta porterà il suo nome, quello di una madre che non può permettersi di stare male, perché deve prendersi cura, accudire chi dipende (e dipenderà sempre) in tutto e per tutto da lei.
A poco a poco Ada sperimenterà sul suo corpo, seppur in maniera ridotta, i limiti di sua figlia.
Quei limiti che già conosceva perché li vedeva, li sentiva, li toccava attraverso di lei, e adesso li vive sulla sua pelle.
Ora chi cura deve anche curarsi.

Io, le parole per descrivere tutto questo, non le trovo, ma Ada d’Adamo sì, le ha trovate e sono parole lucide, per nulla edulcorate, lontane dal facile pietismo e dall’autocommiserazione.
Sono le parole di una donna che dice apertamente di amare oltremisura la sua figlia imperfetta, ma altrettanto chiaramente dichiara che, se avesse potuto scegliere, quel giorno, avrebbe scelto l’aborto terapeutico.
Non è una madre coraggio, la sua croce avrebbe preferito non caricarsela.
Così come non avrebbe mai voluto combattere anche la sua personale guerra con la malattia.

“Sono Ada. Sarò D’aria…”

Alla luce di tutto quello che è accaduto, la scelta della seconda persona singolare, rivolta proprio a sua figlia, ha il sapore di un lascito, quasi un testamento emozionale che Daria (oggi 18enne) non potrà mai leggere ma che in tutti questi anni le ha comunicato attraverso un’intimità corporea e sensoriale.
A noi, invece, a fine lettura, rimane lo stupore e l’ammirazione verso chi è stato capace di trovare il modo di trasformare in parole sincere, precise e “calme“, una storia feroce, di vita difficile e destino infame.

Ma, attenzione, questa non è affatto una storia di dolore e malattia.
È una storia d’amore e di vita.
La prova che si può essere felici anche nell’infelicità.

Lei non c’è più, ma la sua forza resta… proprio qui, tra queste pagine.

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“Come d’aria” di Ada d’Adamo, Elliot editore . Un libro tra le mani.

Antonella Russi

Nata a Taranto, classe '76. Lettrice per passione, da sempre.

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