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“Storia di Shuggie Bain” di Douglas Stuart: recensione libro

Si pronuncia con la “o” al posto della ”u” e senza la “e”. Meglio chiarire la questione perché Sciogghi è un bambino ordinato e preciso, fin troppo ordinato e preciso per non brillare di luce propria fra le nere scorie di carbone, un carbone ormai ucciso dal ferro, non il minerale ma quello di una “ladyvolutamenteminuscola” che ha messo in ginocchio la Glasgow degli anni ottanta. E purtroppo brillando attirerà le gazze della discriminazione, sporche come la polvere che intride le loro tute dozzinali e i loro polmoni, nutrite, o meglio a malapena dissetate, da miseri sussidi di disoccupazione, intente a sorvegliare i loro uomini allo sbando e allevare tristi covate di pargoli violenti, pronti ad attaccare l’intruso che si sia intrufolato nel loro fatiscente nido.

Un romanzo di deformazione… no, non è un refuso: Shuggie cresce, ma cresce deformato dal rapporto con la madre e dal rapporto della madre con l’alcol. Cresce in cerca di una normalità fuori dalla sua portata e da quella di Agnes, ostinata nel distruggersi, sottraendo agli uomini, che non hanno saputo apprezzarla, quella copia di Liz Taylor che si ostina ad affondare i tacchi alti nel carbone e nelle torbiere. Shuggie è in cerca della normalità, ma già in procinto di arrendersi all’accettazione della diversità. E Stuart ci restituisce il ritratto di un meraviglioso diverso. Perché si può essere diversi e meravigliosi, o forse si deve essere diversi per essere davvero meravigliosi. Diverso nei modi, nel lessico, nelle movenze, nell’amore e nell’ostinazione con cui difende l’oggetto del suo amore, anche quando i fratelli si sono arresi e sono fuggiti, come già aveva fatto il padre. Un amore e una compassione che mi hanno ricordato quelle di un altro straordinario bambino della letteratura del novecento, il Momò di Romain Gary, ma l’amore di Shuggie per Agnes è diverso, è quello di un figlio verso la madre e ha l’assoluta dedizione di una doverosa scelta.

Un esordio quantomai potente quello di Douglas Stuart, che gli è valso il Booker Prize. Purtroppo “potente”, lo so, è un termine abusato dalla critica letteraria, ma, in questo caso, non mi faccio remore: “La storia di Shuggie Bain” è un libro potente nel descrivere il degrado e l’emarginazione, ma ancor più potente nel far risaltare, per contrasto, l’amore e la compassione. Lo amerete se sarete disposti a scendere i gradini della disperazione e comprendere che la “pietas” rotola sempre in fondo alle umane scale, in attesa di un soffio, magari narrativo, che lo liberi dalla polvere che, gradino dopo gradino, ha raccolto nella caduta.

(Le sessanta recensioni che, una al giorno, leggerete in SummeReload, potete trovarle, insieme a molte altre, in “Recensionando Ventiventitré “. Il libro che le raccoglie è in versione elettronica e chi lo desira può richiederlo nel formato che preferisce in cambio di un’offerta libera per il Premio Letterario Giancarlo Molinari)

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“Storia di Shuggie Bain” di Douglas Stuart, edizioni Mondadori. I libri di Riccardo

Riccardo Gavioso

Nasce a Torino nel 1959, dove si laurea in Giurisprudenza. Ma ormai incerto su chi fossero i buoni e i cattivi, e pur ritenendo il baratto una forma di scambio decisamente più evoluta del commercio, da allora è costretto a occuparsi di quest’ultimo. Inevitabile, quindi, che l’alienazione professionale lo spinga tra le braccia di una penna e che la relazione, pur tra alti e bassi, si protragga per diversi anni. Poi, deluso in egual misura da quel che si pubblica e da quel che non si pubblica, smette di scrivere narrativa e si occupa di giornalismo collaborando con diverse testate di rilievo e creando un blog che arriva a incuriosire diecimila lettori al giorno. Torna alla narrativa con Arpeggio Libero con cui pubblica attualmente. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per i suoi racconti. Nel 1997 è stato finalista al Premio Internazionale di Narrativa “ Il Prione ”.

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