“Il principe” di Nicolò Machiavelli e la censura del mondo ecclesiastico
Buongiorno e ben tornati alla nostra rubrica sui #libricensurati; oggi parleremo di uno dei libri che ho letto e studiato più volentieri nel corso dei miei studi prima in letteratura alle medie e superiori e poi in filosofia all’università. Ho imparato ad apprezzare questo autore e filosofo italiano e a leggere le sue opere con piacere, signore e signori, oggi parliamo di Machiavelli e del suo “Il Principe”.
Niccolò di Bernardo dei Machiavelli, noto semplicemente come Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio 1469 – Firenze, 21 giugno 1527), è stato uno storico, filosofo, scrittore, drammaturgo, politico e diplomatico italiano, secondo cancelliere della Repubblica Fiorentina dal 1498 al 1512.
Il Principe è l’opera più significativa di Niccolò Machiavelli, quella che più di tutte ha lasciato espressione del suo pensiero e che, ingiustamente, ha fatto apparire Machiavelli come un uomo furbo e calcolatore tanto che – vi capiterà di sentirlo – “machiavellico” è un aggettivo che indica proprio qualcosa di subdolo e malizioso.
Se vogliamo capire come e perché il nostro autore componga quest’opera, dobbiamo fermarci a osservare qual era la situazione politica italiana al suo tempo: il Principe è un trattato di politica in fin dei conti.
La discesa di Carlo VIII in Italia (1494) per prendere Napoli sconvolge gli Stati Regionali italiani, il re attraversa la Penisola e rompe le uova nel paniere: a Firenze, in particolare, ci sono dei gruppi che si oppongono alla Signoria dei Medici e che, con l’appoggio di Re Carlo riusciranno a mettere in fuga Piero de Medici, al tempo regnante sulla città, e a instaurare a Firenze un regime repubblicano. Questo è un dato che ci interessa perché Machiavelli sarà un importante funzionario della nuova repubblica fiorentina e sarà allontanato dalla città quando i Medici riusciranno a riprendere il controllo di Firenze. Successivamente gli accordi diplomatici fra Carlo VIII e la Spagna vengono meno e la Spagna si schiera accanto a quegli Stati Regionali italiani ora ostili al re francese.
È un periodo caotico: alleanze si allacciano e si sciolgono, gli eserciti degli Stati italiani si mostrano inaffidabili e incapaci perché composti da soldati mercenari, i regnanti si rivelano deboli e corruttibili.
Il Principe viene quindi scritto nel 1513 durante il soggiorno forzato dell’autore all’Albergaccio (il suo podere agricolo presso S. Casciano) dove era stato confinato in seguito al fallito colpo di stato contro i Medici l’anno prima. È lo stesso Machiavelli a dar conto della composizione dell’opera nella lettera a Francesco Vettori del 10 dic. 1513, in cui dichiara di aver scritto un “opuscolo” intitolato De principatibus in cui spiega “che cosa è principato, di quale spezie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono”, confidando all’amico di voler dimostrare attraverso questo piccolo libro tutta la sua esperienza politica e sperare, in tal modo, di essere riammesso al servizio dei Medici. L’opera è infatti dedicata a Lorenzo de’ Medici cui è indirizzata una lettera dedicatoria (inizialmente l’autore pensava di rivolgersi a Giuliano, poi morto prematuramente) e si conclude con un’appassionata esortazione alla signoria affinché si metta alla testa di un non meglio precisato moto di riscossa nazionale, che scacci lo straniero dall’Italia e riunifichi politicamente la Penisola sotto il proprio dominio. Il testo è suddiviso in 26 capitoli piuttosto snelli, strutturati secondo un preciso schema: dopo il cap. proemiale che enuncia la materia, l’autore passa in rassegna i vari esempi di principato (II-XI), quindi tratta il tema delle milizie (XII-XIV), elenca le qualità del principe (XV-XXIII), affronta il tema della fortuna e della virtù (XXIV-XXV) e infine rivolge la sua esortazione ai Medici (XXVI). Propriamente il testo vuol essere una sorta di insegnamento ai sovrani e ai potenti sul modo migliore di gestire e mantenere il potere su uno Stato, frutto della passata esperienza politica dell’autore e delle sue conoscenze teoriche, e tale insegnamento prescinde totalmente da qualunque scrupolo morale e religioso, per cui si può affermare che il trattato getti le basi della teoria politica moderna. Il testo ebbe enorme risonanza in Italia e in Europa.
Dopo questa panoramica doverosa vediamo cosa seguì alla scrittura di questo libro e se davvero Machiavelli ottenne ciò che si prefigurava.
Innanzitutto dobbiamo dire che ci vollero diversi anni prima che Il Principe venisse dato alle stampe, infatti sia Il Principe che i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio furono stampati per la prima volta a Roma, nel 1531-1532, sotto la protezione e l’egida della Sede apostolica. Lo stampatore infatti non ottenne solo l’imprimatur papale, l’autorizzazione a stampare i testi, ma anche il ‘privilegio di stampa’, quel diritto esclusivo alla loro pubblicazione per un determinato numero di anni che costituiva una particolare protezione concessa graziosamente dal pontefice alle opere considerate meritevoli del suo favore. La situazione, tuttavia, cambiò rapidamente. Bastano poche settimane perchè l’opera diventi terreno di scontro e di discussione, tanto grandi furono l’interesse e lo scandalo suscitato.
Il Principe di Nicolò Machiavelli: la censura
La prima idea che suscitò reazioni negative nel mondo ecclesiastico fu quella della contrarietà tra cristianesimo e valore militare.
Prima lo spagnolo Juan Ginés de Sepúlveda e poi il vescovo portoghese Jerónimo Osório protestarono dunque contro questa tesi. Ma l’ostilità del mondo religioso era destinata ad approfondirsi presto su questioni ben più essenziali e nel 1539, nella sua Apologia ad Carolum V, il cardinale Reginald Pole definì Machiavelli «un nemico del genere umano» e il Principe un libro «scritto col dito del diavolo».
Con il generale sviluppo delle attività di inquisizione, al principio degli anni Cinquanta questi giudizi presero forma di censura. Assunto nel 1549 dal Santo Uffizio come consultore in materia libraria, l’11 novembre 1550 Girolamo Muzio inviò al commissario generale Teofilo Scullica la nota di una serie di nomi da far confluire nel costituendo Index librorum prohibitorum, nel quale la Chiesa di Roma avrebbe elencato i libri sottratti alla pubblica lettura, tra i quali figurava quello di Machiavelli. «Tengo opinione fermissima» – scrisse – «che essi siano del tutto infedeli, ma perciocché lo scoprirsi interamente non sarebbe cosa sicura […] col mostrarsi pur religiosi vogliono gettare a terra la religione»
Due anni dopo, la sua segnalazione fu confermata da Ambrogio Catarino Politi che, nelle Enarrationes (1552), definì Machiavelli “empio e ateo”.
Nell’Index di Paolo IV, pubblicato definitivamente nel 1559, il nome di Machiavelli venne posto in prima classe, tra quegli autori condannati come eretici dei quali era proibita l’intera opera e dannata la memoria. Si trattava dunque di una condanna già radicale che tuttavia non condusse a una completa chiusura nei confronti del Segretario fiorentino. Il Concilio di nuovo aperto a Trento nel 1562 istituì infatti, dietro ordine del nuovo papa Pio IV, una commissione incaricata di riconsiderare il tema dei libri da proibire e di pubblicare un nuovo e meglio ponderato Index. La commissione conciliare assunse un indirizzo complessivamente rivolto alla moderazione delle scelte compiute dall’Inquisizione romana e divenne per conseguenza teatro di diverse proposte di attenuazione delle condanne emesse tre anni prima. Le opere di Machiavelli furono così fatte oggetto di alcuni tentativi di espurgazione, nessuna delle proposte fu però accolta dalla commissione conciliare e nel nuovo Index pubblicato da Pio IV nel 1564 il nome di Machiavelli rimase inserito nella prima classe, tra gli eretici omnino damnati che, non potendo essere espurgati, erano destinati al rogo.
Per l’Index, come per tutto l’antimachiavellismo, una rilevante cesura arrivò nel 1576 con l’apparizione dell’Anti-Machiavel del calvinista Innocent Gentillet, che attribuiva all’insegnamento di Machiavelli la responsabilità della strage di san Bartolomeo ordita dalla fiorentina Caterina de’ Medici e dalla sua corte italiana.
A partire dalla pubblicazione dell’Anti-Machiavel, l’espurgazione dei libri di Machiavelli uscì così dal novero delle possibilità effettive.
Alla prima occasione utile – e cioè il 21 ottobre 1579 – Guglielmo Sirleto trasmise dunque alla Congregazione dell’Indice la decisione, trasmessa da Gregorio XIII vivae vocis oraculo, secondo cui “le opere di Machiavelli sono da condannare del tutto così che, d’ora innanzi, nessuno provi a espurgarle ed esse siano completamente tolte di mano ai fedeli”
Nel 1587 prima e nel 1596 poi ci furono altri tentativi di togliere quest’opera dall’Index, tentativi però falliti entrambi miseramente.
Il 7 dicembre 1596 l’impossibilità di espurgare i testi di M. fu definitivamente ribadita dal segretario del Santo Uffizio, Giulio Antonio Santoro, all’ambasciatore fiorentino Giovanni Niccolini, e due anni dopo tale posizione fu confermata da un papa flessibile e misurato in fatto di censura come Clemente VIII quando negò al patrizio fiorentino Agostino Michele l’autorizzazione a espurgare Machiavelli. Non si trattava, in questo caso, di una delle tante intransigenze imposte da Santoro all’esitante Clemente VIII, dal momento che in quegli stessi anni anche il gesuita Roberto Bellarmino inseriva il nome di Machiavelli nel suo elenco di «eresiarchi», così facendone un nome impronunciabile nel mondo cattolico.
Da allora, la chiusura verso Machiavelli rimase un fatto assodato e il suo nome fu regolarmente inserito in tutti i successivi Indices librorum prohibitorum fino a quello ripubblicato da Leone XIII nel 1890.
Nel 1900 Leone XIII fece pubblicare un nuovo Index che, allo scopo di snellire e svecchiare l’ormai ponderosa e inattuale lista dei titoli accumulati a partire dal Cinquecento, non riportava più le proibizioni anteriori al 1600 e, di conseguenza, ometteva il nome di Machiavelli. Si trattò quindi di una misura pratica che non implicava una revisione della condanna del nostro autore così come non implicava una revisione della condanna di tutti quegli eretici cinquecenteschi omessi negli Indici novecenteschi. Si può forse dire piuttosto che, con l’abolizione dell’Index decisa da Paolo VI nel 1966, stia cadendo in disuso, tacitamente e quindi in maniera non irreversibile, quella funzione di pubblica condanna di autori e libri che il papato si era attribuita nel Cinquecento.
Bene, in chiusura di questa piccola disamina vi chiedo la vostra opinione riguardo quest’opera, se la avete letta/studiata e cosa ne pensate io intanto vi saluto e vi do appuntamento al prossimo lunedì.
Libri Censurati, una rubrica a cura di Donatella Maina Gioia su The BookAdvisor.