“Adattarsi” di Clara Dupont-Monod, recensione: Un libro tra le mani.
In “ADATTARSI” sono le pietre che ci parlano.
Le pietre rossastre della corte della casa di una famiglia che vive in un paesino di montagna.
Pietre che, negli anni, hanno assistito e assorbito tutto: gioie, dolori, perdite, disperazione, dolcezza, rabbia, rassegnazione, amore, disgusto…
C’era chi andava a poggiare la sua fronte su di loro, di notte, per “respirare”, chi invece le prendeva a calci…
In ogni caso, nel bene e nel male, sono le depositarie indiscusse di tutta questa storia.
“Noi siamo legate ai bambini. Sono loro che vogliamo raccontare.
Incassate nel muro, sovrastiamo le loro vite. Da millenni siamo le testimoni.
I bambini sono sempre i dimenticati di una storia.
Vengono infilati dentro come minuscole briciole, e poi scostati via invece di proteggerli. Ma i bambini sono gli unici a scambiare le pietre per giocattoli. Ci danno un nome, ci colorano, ci ricoprono di disegni e di scritte, ci dipingono, ci incollano addosso gli occhi, una bocca, capelli di fili d’erba, ci impilano per fare case, ci lanciano per farci rimbalzare, ci mettono in fila per fare la linea della porta o le rotaie di un treno.
Gli adulti ci usano, i bambini ci distraggono.
È per questo che siamo così profondamente legate a loro.
È una questione di gratitudine. Gli dobbiamo questo racconto, e ogni adulto dovrebbe ricordarsi di essere debitore verso il bambino che è stato.”
Loro, le pietre, hanno visto due genitori mettere al mondo quattro figli.
Un ferito, una ribelle, un inadatto e uno stregone.
Ed hanno visto come la nascita del terzo, il bambino “inadatto“, il bambino che è rimasto per sempre tale, abbia influenzato la vita degli altri tre, in maniera completamente diversa gli uni dagli altri, ma definitiva.
La disabilità sconvolge, con una forza devastatrice spazza via la spensieratezza, e segna il confine indelebile tra un prima e un dopo.
Arriva il disagio degli sguardi altrui, il senso di vergogna che è come e peggio di un tradimento.
“I terribili altri avevano quel potere di creare una colpa laddove non c’era.”
E allora non rimane che fermarsi sul bordo dell’abisso, a guardare il tempo passato e quello, difficilissimo, che sta per arrivare.
Ma la disabilità riempie anche, e conduce verso il senso più profondo delle cose, e della vita.
Solo che le strade per arrivare a questa consapevolezza possono essere molto diverse.
Il primogenito, il “maggiore“, impara subito ad amare questo bambino speciale, in un modo che sfiora la simbiosi, si fonde con lui, cerca di raccontargli il mondo che lui non può vedere, di essere i suoi occhi, i suoi piedi, le sue mani…
“A contatto con lui, il maggiore imparò il tempo vuoto, l’immobile pienezza delle ore.
[…] Era un linguaggio dei sensi, del minuscolo, una scienza del silenzio, qualcosa che non s’insegna in nessun posto del mondo.”
La secondogenita, la “minore“, non lo accetta.
Non accetta questo fratellino inerme, se ne vergogna, lo nasconde agli occhi del mondo e soprattutto ai suoi.
“Ora era il bambino a regnare. Aspirava tutte le forze.
Era un essere a metà strada, un errore, che si era infilato in un punto imprecisato tra la nascita e la vecchiaia. Una presenza ingombrante, senza parole né gesti né sguardi.
Quindi senza difese.
Quel bambino era aperto. Quella vulnerabilità generava terrore.
“L’ultimo“, invece, troverà il suo piccolo spazio tra l’ingombrante mole dei ricordi, e imparerà ad amare anche chi non ha conosciuto mai, chiedendogli scusa per essere lì, vivo, sano.
Questo libro è come una fiaba delicata.
Lo tieni in mano e ne percepisci la fragilità, come un piccolo oggetto di vetro soffiato che ti viene chiesto di custodire in un luogo sicuro.
Lo tieni in mano e ne percepisci la forza, quella sottile ma inesauribile capacità di resistere. A tutto.
Leggerlo fa bene al cuore.
“Adattarsi” di Clara Dupont-Monod, Edizioni Clichy . Un libro tra le mani.