C’è un aspetto che caratterizza fortemente la scrittura di Piero Malagoli e che, per me, merita di essere sottolineato fin da subito: l’abilità dell’autore di lasciar scorrere la penna sulla pagina con una notevole naturalezza, che va combinandosi pagina dopo pagina con la pacatezza e l’eleganza di parole scelte sempre con cura, calibrate, che si reggono in perfetto equilibrio sulla linea che le sostiene. Ed è una percezione, questa, che accompagna l’intera lettura del romanzo, malgrado l’argomento affrontato sia doloroso e crudo.
“Antonia scostò il tendaggio del confessionale e stille luminose filtrarono dal traforo della grata, istoriandomi la tunica con ricami di luce. Mi ero di nuovo rifugiato lì per sfuggire al chiarore che annunciava un nuovo giorno di cui paventavo l’arrivo, confidando che l’orrore della quotidianità non mi avrebbe raggiunto. Il supplizio che ogni aurora portava con sé strideva con la visione fiduciosa che la religione m’imponeva, nonostante le regole del mondo civile venissero regolarmente calpestate. Come se una rovinosa dottrina della ferocia avesse progressivamente soppiantato quella della carità che mi affannavo a confessare”.
Tra la fede incrinata di Don Sebastiano, la desolazione del panorama sociale e la necessità di continuare a essere un punto di riferimento della comunità rurale si inserisce Allegri, medico che rappresenta l’altro volto della carità, quello della scienza, che non contempla pause né titubanze e che, come la parrocchia, è uno dei pochi baluardi rimasti, insostituibile, necessario.
Nel rimorso che proveremo è un libro elegantissimo, che riporta indietro nel tempo in un’epoca triste e angosciosa, e che fa quasi toccare con mano il logorio mentale e nervoso di chi quel periodo lo visse in prima persona, rimanendo schiacciato nelle morse del meccanismo di disumanizzazione messo in moto, e alimentato, dalla guerra.
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“Nel rimorso che proveremo” di Piero Malagoli, edizioni Spartaco. Libri in Pillole.