Èun viaggio nell’inquietudine quello di Hotel Atlántico, romanzo dello scrittore brasiliano Joao Gilberto Noll. Una peregrinazione che inizia da una impersonale stanza di hotel e prosegue attraverso luoghi sconosciuti e anonimi del Brasile, come anonimo è il protagonista della narrazione.
Sappiamo poco di lui: è un ex attore televisivo, ma non conosciamo il suo nome. Scopriamo però, pagina dopo pagina, che ha un’impellente necessità: quella di muoversi, camminare, cambiare luogo, limitare al massimo le sue interazioni sociali, in una sorta di fuga da se stesso e da tutto ciò che lo circonda. E non importa da cosa stia fuggendo, se sta fuggendo, né cosa stia cercando, se qualcosa sta cercando: il motore che anima il suo vagabondare è alimentato dal turbamento esistenziale, dall’impossibilità di rimanere inerme davanti al senso di vuoto che ha intorno a sé. Sofferente, ma senza scadere nel patetico, la sua diventa una ricerca costante, in cui il vero e unico oggetto del desiderio è il movimento continuo, caotico, senza meta, ma vitale, perché muoversi è sinonimo di vita.
“Quel giorno andava affrontato diversamente. Ma io non sapevo come”.
Ed è un on the road casuale il suo, fatto di incontri casuali, di brevi relazioni costruite in modo casuale, nessuna delle quali però riesce a distoglierlo dalla sua fuga togliendogli di dosso quella insoddisfazione che lo costringe a proseguire il cammino. Ma una presenza costante c’è: è quella della morte, che lo incrocia lungo le strade che percorre, lo sfiora, lo accarezza, quasi lo saluta, ammiccandogli. Non è una morte con le tipiche sembianze macabre, oscure, terrificanti: è una morte tratteggiata con pennellate semplici, naturali, come fosse un familiare promemoria utile a ricordare che niente su questa terra dura in eterno. Nemmeno i peggiori stati di inquietudine.
“Hotel Atlántico” di Joao Gilberto Nol, edizioni Arcoiris. Libri in Pillole.