Mapocho è probabilmente tra i libri più intensi e sorprendenti letti negli ultimi anni: la sua autrice Nona Fernández, una delle “Diavolesse” cilene, è ormai un punto di riferimento della letteratura sudamericana, e non solo, sempre più a connotazione “ WOMENPOWER”.
Mapocho è un romanzo forte, crudele e spiazzante, scritto in modo sublime e con una prosa asciutta, gelidamente lucida e scorrevole ma al tempo stesso vorticante, in cui la straordinarietà diventa regola, dove le emozioni fragorose e gioiose lasciano il campo alla morbosità e alla putrescenza di una dimensione maledetta fatta di carne, sangue e lucida follia, dove l’archetipo concettuale è la menzogna. Menzogna che è sinonimo di morte nera.
Il Mapocho, protagonista di questo libro allegoria, è il fiume su cui fu fondata Santiago del Cile, testimone dei cambiamenti della città e, più in generale, della storia del paese nel suo susseguirsi di dittature sanguinarie dalla fine del seicento fino all’ultima di Pinochet.
Nona Fernández racconta un Cile onirico, vero e proprio cosmo di orrori, costruendo la storia sulle vicende di Bionda e di suo fratello Indio, sul loro rapporto incestuoso sfociato in un groviglio narrativo ed una serie di intrighi che di fatto rendono superfluo il concetto stesso di trama. La diavolessa ci parla di violenza raccontandone la derivazione che sfocia in soprusi e repressione verso le classi più povere, le minoranze, i dissidenti ed “i diversi”. Un libro che esplica il concetto di letteratura incentrato sulla parola che si fa mezzo di riflessione.
Visionario e Maledetto.
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“Mapocho” di Nona Fernández, edizioni Gran Vía. Latinoamericana.