A Garamond Type

“Appetricchio” di Fabienne Agliardi: recensione libro

Di solito sono molto restia a dare credito alle fascette apposte sui libri ma su quella per APPETRICCHIO di Fabienne Agliardi (Fazi Editore) mi sono dovuta ricredere perché vi è riportata una frase di Franco Arminio: «Un libro lieto e prezioso che protegge la realtà dei paesi e dei suoi ultimi abitanti animandola con una lingua sorprendente». Arminio ha inventato la Paesologia, scienza che coniuga etnologia, geografia e poesia, per studiare i paesi della sua Irpinia e io, semplicemente, adoro il suo approccio, il suo “voler bene” ai luoghi, il suo celebrarli. Come fa Fabienne Agliardi, che ha l’abilità di descrivere la realtà attraverso cose che non esistono, rendendole così universali e permettendo al lettore di riconoscersi in esse. E il valore letterario di un libro sta per me tutti qui.

Appetricchio esiste ma può anche non esistere

Petricchio (che diventa Appetricchio a causa della preposizione semplice A che viene appioppata sia ai nomi di battesimo, sia ai posti: «un moto a luogo fonetico con raddoppio di consonante») è un paese lucano arroccato sul fianco di una montagna, vicino e al contempo distante dal mare che sempre si vede dalla sua Fundana, senza strade, con venticinque abitanti (omaggio ai lettori de I PROMESSI SPOSI), quasi tutti di nome Rocco come il santo patrono e molti  dei quali sordomuti, con un ponte difficile da attraversare, tanto che gli unici non abitanti che arrivano ogni anno sono dei parenti che vivono al Nord (a Brescia, ma per i petricchiesi Ammilano che contiene tutto il Settentrione d’Italia). Non c’è segnaletica per arrivarci, ma in fondo non importa, perché esiste ma può anche non esistere:

«Petricchio esiste nella misura in cui vogliamo farlo esistere. Come il posto delle nostre estati da criaturi, ovunque esso sia. Da qualche parte c’è una Petricchio per tutti. Petricchio è mare, montagna, lago, campagna. È Narnia, Rokovoko, Hogwarts. È il quartiere e il cortile in cui abbiamo disegnato i nostri momenti felici. Non importa dov’è. Importa che esista. La poesia c’è in tutti i luoghi, ma a una condizione: bisogna amarli.»

L’uroboro

E seppur amandoli, nella vita capita di allontanarsene, per poi provare il desiderio di tornarci. APPETRICCHIO, «unico posto al mondo con niente da fare ma dove tutti volevano tornare» e che se lo guardi da un satellite ha la forma di un uroboro, il serpente che si morde la coda, è così simbolo dell’eterno ritorno: il libro, inno a questo luogo, è di fatto una metafora della ricerca interiore del proprio tempo perduto, il tempo dell’infanzia, quello del cuore, delle proprie radici, dove si torna per fare pace con se stessi.

“Oniricità concreta”

La lingua utilizzata sorprende perché è meticcia e ibrida, il libro contiene addirittura un glossario di alcuni termini che comunque mai risultano respingenti, bensì alla fine della lettura familiari.

Questo romanzo corale mi ha ricordato nell’approccio e nella sua “oniricità concreta” (passatemi questo termine, credo di averlo testé inventato) nientepopodimeno che il Premio Nobel per la Letteratura 2018 Olga Tokarczuk e il suo Prawiek de LA QUIETE DEL TEMPO (Bompiani): atmosfera simile, magia compresa. E anche qualche rimando a CADE LA TERRA di Carmen Pellegrino (Giunti), abbandonologa con la sua Alento.

Gli altri temi, il tempo

Tanti gli altri temi: la restanza, l’emigrazione e lo spopolamento, la miseria, la rivalità, l’ignoranza, la gioia delle cose semplici e genuine, la dicotomia Nord/Sud, in un arco temporale di quarant’anni, dal 23 novembre 1980 al marzo 2020, scandito dalle estati, dalle feste di Assanrocco, dai Natali, con un gap temporale di vent’anni dal 2000 al 2020 che un colpo di scena magistrale spiega. Ovviamente non sta a me svelarlo.

Chercez le licorne!

Non pensate però di immergervi in una lettura noiosa: l’autrice è laureata in Lingue con una tesi sulle parodie, quindi potete anche divertirvi imbattendovi in Silvio Berlusconi, Fausto Leali, Giucas Casella, Iginio Massari, nel Festival di Sanremo e in Dallas. E nella ricerca tra le pagine di un unicorno perché Gaia, la figlia dell’autrice, il campo di lavanda a cui è dedicato il libro, ha affermato che «In ogni libro dovrebbero esserci degli unicorni».

PS è notizia freschissima che APPETRICCHIO è stato meritatamente proposto da Luca Doninelli per il Premio Strega. In bocca al lupo, anzi: all’unicorno!

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Appetricchio” di Fabienne AgliardiFazi Editore. A Garamond Type.

Laura Busnelli

Commercialista “pentita”, ho maturato anche un’esperienza pluriennale in Sony. Lettrice appassionata e tuttologa, all’alba dei quarant’anni mi sono scoperta scrittrice, dopo essermi occupata di correzione bozze ed editing. Sono stata una libraia indipendente per tre anni, saltuariamente faccio ancora incontrare libri e lettori con grande gioia. Operatrice culturale, modero spesso eventi e racconto il mondo dei libri anche online, tengo una rubrica su libri a tema animali su RadioBau & Co. (web radio del gruppo Mediaset) e collaboro con l'associazione culturale "Librai in corso" nell’organizzazione di eventi e in corsi a tema. La mia rubrica qui si chiama "A Garamond Type" perché il Garamond è il carattere adottato per quasi tutti i libri italiani e Type sta sia per carattere, font, sia per tizio. E la tizia sarei io.

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