E anche stavolta mi sono fatta travolgere dal ciclone “Joël Dicker”: ho letto il suo ultimo libro, UN ANIMALE SELVAGGIO, in trentasei ore non continuative ed entro quattro giorni dalla sua uscita (in Italia il 25 marzo). Non male anche per una lettrice forte come me, che tendenzialmente tende un po’ a snobbare i bestseller avendone uno spesso immotivato pregiudizio e che invece ne è rimasta agganciata.
A più di vent’anni dal suo primo romanzo e dopo il successo planetario delle vicende legate a Harry Quebert, personaggio della trilogia che ha collezionato milioni di lettori, Dicker cambia passo per aderire ai cambiamenti che sono avvenuti nella sua vita personale: ora è un uomo di quasi quarant’anni, è sposato, ha figli e tutto questo viene trasposto nella sua scrittura, che si è fatta anche più psicologica.
Siamo tutti animali selvaggi
Due coppie in crisi, una più felice dell’altra (almeno all’apparenza), una rapina, una pantera, Ginevra (città dell’autore), una Casa di vetro, un continuo andare avanti e indietro con flashback sapientemente orchestrati e una gestione certosina del tempo narrativo: questi gli ingredienti principali del thriller, che vuole soprattutto sottolineare che tutti noi siamo animali selvaggi, che tutti in profondità abbiamo un istinto, un qualcosa che ci spinge ad agire, anche in risposta a quelle ossessioni che quando ci prendono sono in grado di cambiare la realtà. Perché i propri impulsi e bisogni facilmente diventano sentimenti, «e cosa si può fare contro i sentimenti? Sono la nostra unica, vera libertà».
Questa natura profonda è inoltre proprio ciò che molto spesso nascondiamo sia agli altri sia, in primis, a noi stessi, contribuendo a creare un bagaglio di segreti che quando vengono svelati sono in grado «di devastare quella vita armoniosa pazientemente intessuta». Il momento dello svelamento coincide quasi sempre come risposta a una ferita. E «bisogna diffidare degli animali feriti. È il momento in cui sono più pericolosi».
Cosa racconta
Mi è piaciuto il voler indagare il peso che hanno i ricordi, il desiderio di resistere versus la voglia di inseguire i propri sogni, l’amore che dà senso alla vita. Mi è piaciuta un po’ meno una certa prolissità dell’inizio, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi che necessitano comunque sicuramente di essere stereotipati per essere strumentali al racconto e alle sorprese che Dicker via via fa scoppiare per sovvertire le aspettative e i cliché creati.
«Era profondamente turbata. Si rendeva conto che tutto ciò che aveva costruito con convinzione e certezza – la sua carriera, la sua famiglia, la sua coppia, quella casa, tutta quella vita di perfezione e successo sociale, di convenzioni borghesi – non le apparteneva. Detestava quell’oleografia su carta patinata. Voleva essere libera. Voleva essere selvaggia. Non voleva più essere Sophie Braun. Fauve glielo aveva sempre detto: era una Pantera.»
Aprire le gabbie. Ma quali?
Qualcuno ha scritto (spoiler: la sottoscritta!) che «a volte, le peggiori gabbie sono quelle che costruiamo noi stessi, le peggiori gabbie sono già in noi». È quindi importante saperle riconoscere per poterle aprire e conquistare la libertà. Questo libro stupisce anche nella scoperta che spesso le gabbie non sono esattamente quelle che ci si aspetta.
(traduzione di Milena Zemira Ciccimarra)
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“Un animale selvaggio” di Joël Dicker, La nave di Teseo. A Garamond Type.