Anche l’uomo è un animale, e l’animale difende la propria tana.
Al di là dell’enunciato, un po’ pretenzioso e temo ingiusto per gli animali, in tempi in cui quelli che millantano di essere umani, più che animali mi paiono bestie, resta il fatto che anche l’uomo è disposto a tutto pur di difendere la sua tana.
Piccola o grande che sia.
Asciutta o umida che sia.
Anche a costo della vita. Sua e altrui. Anche se la tana è, appunto, una tana fredda e buia, anche se la tana è un ammezzato che trasuda tristezza in una pensione famigliare di Liegi, gestita con piglio assai poco famigliare dalla signora Lange, donna che non era mai riuscita ad abituarsi all’odore di suo marito, figuriamoci a quello dei suoi pensionanti, e in particolare all’odore di Élie, che forse altro non era che l’odore della povertà, l’odore di chi è arrivato da Vilnius con addosso solo un logoro cappotto, dopo aver perso, strada facendo, anche l’orologio d’argento del padre. Ma a Élie piaceva crogiolarsi nell’odore del pensionato, respirare l’odore della figlia della signora Lange, la schiva Louise, respirarlo mischiato a quello dei cibi che si cuocevano lentamente sul fuoco. Purtroppo gli odori, si sa, attirano i predatori, e le tane, si sa, risvegliano istinti rapaci. Se poi il predatore è ricco, sfrontato e di bell’aspetto, e tu ricordi un batrace, la lotta si fa impari, diventa lotta per la sopravvivenza, senza esclusione di colpi, ma senza odio, mero riflesso indotto dalla paura, inevitabile reazione alla provocazione della felicità.
Un meccanismo diabolico che consente al nostro amico Georges d’imbastire l’ennesimo sacrificio “umano” di un personaggio, immolato sull’altare del Dio Destino. E ai capricci degli Dei non si fugge, nemmeno se si muta continente, nemmeno se si trova un nuovo angolino in cambio dell’angolino di paradiso che non era un Paradiso, ma che è ugualmente Perduto.
Affilata e scarna la prosa, tagliente il canovaccio. Ancora un paio di aggettivi tanto per irridere i dettami di scrittura: ineluttabile il viaggio verso una geometrica conclusione, in questo romanzo “duro” del 1953, “quasi” americano, appena ripubblicato, per nostra fortuna, da Adelphi.
E che nessuno s’azzardi a chiamarlo “giallo”!
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“Delitto impunito” di Georges Simenon, Adelphi Edizioni. I libri di Riccardo