Leggere con Gusto

“Una voce sottile”: il racconto dell’antica comunità ebraica di Rodi

Oggi ci muoviamo dall’Italia (eh, sì, i libri non sono bloccati dall’emergenza Covid!) e partiamo insieme per un’isola dell’Egeo: andremo a conoscere insieme una comunità sefardita, costituita dagli ebrei che vi giunsero dopo essere stati cacciati dalla Spagna alle fine del 1400.

Una voce sottile di Marco Di Porto

una voce sottile marco di portoIl libro con il quale viaggeremo è “Una voce sottile”, edito quest’anno dalla Giuntina, secondo romanzo di Marco Di Porto, giornalista e redattore della rubrica di cultura ebraica di Rai2 “Sorgente di vita”. Attraverso la vita del nonno, Salomone Galante, Di Porto ha voluto raccontare e ricostruire la storia di un’antichissima comunità ebraica, quella di Rodi.

Come per il libro “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani, del quale ho scritto nel precedente articolo, anche nel romanzo “Una voce sottile” il filo rosso è rappresentato dal tema della Memoria: anche Marco Di Porto scrive questa storia spinto dall’imperativo etico “Zakhòr”, “Ricorda”. Imprescindibile ricordare non solo suo nonno ma un’intera comunità felice, pacifica e laboriosa, quasi interamente annientata dalla Shoah.

Per scrivere “Una voce sottile” Marco di Porto ha svolto un’accurata ricerca storica sulla scia di un rinnovato interesse per la comunità ebraica di Rodi (sino ad allora quasi sconosciuta), interesse cominciato prima con l’impegno di Sami Modiano, ebreo di Rodi sopravvissuto alla Shoah e diventato testimone, poi con gli studi del Centro di Documentazione Ebraica di Milano, del Museo Ebraico di Rodi e con i lavori di Ester Fintz Menascé, ai quali Di Porto ha attinto.

Un mondo felice: Rodi, l’isola delle rose

una voce sottile marco di portoIl romanzo “Una voce sottile” comincia negli anni ’30, nell’isola di Rodi, tanto bella e rigogliosa da essere denominata “l’isola delle rose”. Qui, già con il tollerante dominio ottomano che accolse tante persone in fuga, hanno sempre coabitato pacificamente la comunità turca-musulmana, la greca-cristiana e una comunità ebraica sefardita cacciata dalla Spagna. La “juderia”, il quartiere ebraico vicino al porto, pullulava di vita: vicoli, casette basse, angoli pieni di fiori, forni comuni per fare il pane, le botteghe dei mestieri, ben cinque Sinanoghe (il Tempio per gli ebrei).

Sin da subito, ci venie presentato il nonno dello scrittore: il giovane Salomone Galante, detto Solly, viso gentile, carnagione chiara, occhi celesti e due orecchie pronunciate, lavora nella libreria di Avi Soriano, commerciante astuto e venale per il quale i libri sono solo profitto. Solly non è un bravo commerciante ma è simpatico ai clienti, ai quali sa dare buoni consigli di lettura. Oltre ai tanti libri, Solly ha a disposizione tanti albi a fumetti italiani tra i quali l’Intrepido e l’Avventuroso. Ma il preferito è Mandrake, il mago in tuba e doppiopetto che risolveva ogni problema con la magia buona. Quanto ci servirebbe Mandrake anche ai nostri giorni!

Solly vive con la mamma Rebecca, il papà David, il piccolo fratellino Aron e Nissim che sta per sposarsi. Gli altri fratelli e sorelle più grandi – Moshé, Rivka, Regina e Celibi – sono emigrati da anni in Argentina.

A Rodi, Solly e gli altri suoi correligionari sono felici. L’isola è amena, il tempo mite, la vita degli Ebrei si svolge serena tra lavoro e famiglia, al ritmo delle stagioni e delle festività che impariamo a conoscere grazie a Marco Di Porto: Shabbat (il Sabato ebraico, la festa più importante per un ebreo osservante), Pesach (la Pasqua ebraica); Rosh Hashanà (il Capodanno); Yom Kippur (i giorni del perdono).

Il Manifesto degli Scienziati razzisti (o Manifesto della Razza) e le leggi razziali

Ma questa vita felice comincia ben presto ad essere turbata dagli eventi in Italia ed in Europa. Il Gran Consiglio del Fascismo aveva aderito al “Manifesto degli scienziati razzisti”, nel quale si leggeva:

“La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto delle genti pre-ariane. […] Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani”.

D’altronde questi fascisti, come afferma con convinzione Solly “hanno il culto della sopraffazione e sono dei grandi ignoranti!”.

Il Manifesto degli Scienziati razzisti anticipa di poche settimane la promulgazione delle leggi razziali (settembre-ottobre 1938) che escluderanno gli ebrei da ogni attività pubblica: luoghi di lavoro, scuole, biblioteche, circoli ricreativi.

A Rodi, sarà la piccola cuginetta di Solly, Judith detta “Sassolino” per la sua esse sibilante, a sperimentarle sulla propria pelle. Una mattina, Judith è piena di gioia perché potrà portare in dono alla sua adorata maestra Ottavia dei dolcetti al miele cucinati dalla mamma ma subirà l’umiliazione – ancora più incomprensibile per un bambino – di essere allontanata da scuola insieme ad altri piccoli alunni. Li accompagneranno nelle rispettive case la Direttrice della scuola ed il maestro D’antoni il quale, pur essendo un fascista convinto, trovava assurde quelle disposizioni: non era stato proprio Mussolini per quindici anni a magnificare i fasti della Roma imperiale? E la Roma imperiale non era caratterizzata da tolleranza verso tutti i popoli purché rispettassero le leggi di Roma? Come commenta Solly, queste norme contro gli Ebrei “sapevano di medioevo, di inquisizione, di chiusura nei ghetti”.

Ormai, la comunità ebraica di Rodi comincia a comprendere che qualcosa di grave è in arrivo; le persone si riuniscono nelle case per parlare del pericolo concreto rappresentato dal fascismo (a proposito, a Rodi un suo “degno” rappresentante è l’arrogante e bellicoso Giorgio Cutrera): “chi poteva, faceva i bagagli e partiva. Chi non poteva avrebbe continuato la sua vita nell’isola del sole, aspettando che la tempesta passasse”. La famiglia di Rachel, la ragazza di cui si era innamorato Solly, sperando di salvarsi era infatti emigrata in Francia, mentre quella di Solly e tante altre erano rimaste nell’isola.

Ma la tempesta non passa, scoppia la guerra che sconvolge tutta l’Europa. A Rodi la vita diventa dura per tutti; gli Ebrei, pur di dare qualcosa da mangiare ai loro figli, sono costretti a non rispettare più le regole della Kasherut (i cibi adatti): anche la carne kasher è ormai introvabile. L’anziano rabbino Levi tranquillizza i genitori: “la vita dei figli è più importante delle norme alimentari”. E qui ricordiamo che la norma ebraica antepone la vita e la salute all’osservanza dei precetti.

Intanto, la situazione precipita. Prima gli uomini e poi anche le donne, i bambini e gli anziani vengono rinchiusi dai tedeschi (che a settembre del 1943 avevano occupato l’isola) nell’ex caserma dell’aeronautica. Mentre il Reich sta crollando, i tedeschi continuano “a trascinare gli ebrei verso i lontani campi della morte). Degli oltre 1800 Ebrei deportati da Rodi ad Auschwitz ne sopravvissero solo 181: tra questi, il nonno di marco Di Porto, Salome Galante, che fu l’unico della famiglia a sopravvivere.

Con interessanti pagine di ricostruzione storica, altre piene di sentimento (le lettere tra Solly e la fidanzatina Rachel), altre ancora venate da una punta di ironia “ma chi erano questi ebrei?”, quelle drammatiche che raccontano la deportazione, Marco Di Porto in “Una voce sottile” non ha inteso soltanto rendere omaggio al nonno e raccontare la storia di una pacifica comunità ebraica quasi interamente annientata dalla Shoah, ma ha voluto ricordare – come un monito – i terribili danni provocati da quella che Hannah Arendt definì (genialmente) “la banalità del male”.

Una voce sottile di Giorgio Bassani Editore: Giuntina Anno Pubblicazione: 2020 Pagine: 180

La ricetta ebraica: pollo a la miel (pollo al miele)

Nel romanzo “Una voce sottile” Marco Di Porto – oltre a vari cibi utilizzati dagli ebrei la sera di Shabbat (pane, verdure, burekas, dolcetti con mandorle e noci) cita il “pollo a la miel”, un piatto ebraico sefardita. Di seguito la ricetta e…beteavòn, buon appetito!

Pollo al miele

Ingredienti (per 8 persone)

1 pollo di circa 2kg (o, se preferite, petto di pollo), 2 arance intere biologiche,1 grossa cipolla tagliata grossolanamente, 3 carote tagliata e rondelle, buccia grattugiata di un limone e di 1 arancia biologiche, succo di un’arancia e succo di un limone biologici, 2 cucchiai di zenzero fresco grattugiato, 2 cucchiai di miele d’acacia, 150 cc di vino bianco secco, 1 spicchio d’aglio, olio extravergine di oliva, 1 cucchiaino di coriandolo macinato, sale e pepe

Preparazione (20 minuti; cottura 1 ora)

Lavate ed asciugate il pollo e tagliatelo a pezzi di media grandezza (se si preferisce, si può utilizzare il solo petto tagliandolo a tocchetti). Preparate una concia (mescolare: sale, pepe, coriandolo, lo spicchio pelato e schiacciato dell’aglio) con la quale andrà insaporito il pollo. Mettete sui fuochi il pollo a pezzi insieme all’olio in una teglia da forno e fate rosolare a fuoco medio il pollo da ogni parte. Poi, togliere dal fuoco.

Lavate un’arancia, tagliatela a spicchi e mettetela nella teglia insieme alle carote tagliate a rondelle ed alla cipolla a fette. Dopo aver scaldato il forno a 180°, inserite la teglia per 20 minuti.

In una scodella mescolate le bucce grattugiate ed il succo dell’arancia e del limone, lo zenzero, il vino ed il miele.

Estraete la teglia dal forno e irrorate il pollo con una parte del composto. Far restringere il liquido nel forno e continuate la cottura per altri 20/30 minuti, bagnando il pollo ancora un paio di volte rigirandolo. Ponete il tutto su un piatto da portata e decorate con fette d’arancia. Servite caldo!

Tavola dello Shabbat

 

Il vino Kasher: la storia dell’enologia comincia da Noè

La storia dell’enologia comincia con Noé: la Bibbia fa risalire a lui la coltura della vite nel mondo, “il cui frutto rallegra l’uomo”. Da allora, la storia del vino si intreccia con quella della religione ebraica, in quanto il vino ha un ruolo molto importante nelle celebrazioni religiose ed alla tavola dello Shabbat (il Sabato ebraico), quando la tavola si consacra recitando una formula sul vino.

Chi mi ha già letto in alcuni articoli precedenti, ricorderà che l’ebreo osservante può consumare soltanto cibi e vini kasher (adatti), che seguono le regole della Kasherut, che provengono dalla Torah. Un vino si definisce kasher quando, dopo un’accurata ispezione di tutto l’iter produttivo da parte di un Rabbino, viene proclamato tale. La vinificazione del vino kasher prevede che tutto il personale addetto alla lavorazione – dalla gestione dei grappoli in vigna sino all’imbottigliamento –  debba essere costituito da ebrei osservanti. Le persone non ebree osservanti possono eventualmente lavorare il vino kasher solo dopo la pastorizzazione del vino (se prevista dal Rabbino). Ma i vini kasher più pregiati rimangono quelli in cui tutto il processo è seguito da ebrei osservanti e dove quindi il vino non necessita di pastorizzazione.

Affinché una bottiglia sia certificata kasher sono necessari 2 segni di riconoscimento nell’imbottigliamento:

  • il tappo con il marchio del Rabbino;
  • l’etichetta dove viene riportato il nome del Rabbino che ha presieduto ai controlli.

Abbinamenti e note di degustazione

di Alessandro Scorsone, Sommelier e Maestro d’arte e Mestiere 2020
Alessandro Scorsone

Per l’abbinamento con il pollo al limone, normalmente, il vino più idoneo potrebbe essere un bianco con giuste morbidezze, profumato e di buona persistenza, improntato su note vegetali e fruttate senza rischiare sensazioni amare/ammandorlate. Nel nostro caso, abbiamo il miele presente nella ricetta che, già di suo, provvede a stemperare le acidità. Dunque, dovremmo tendenzialmente abbandonare morbidezze evidenti, per puntare su adeguate acidità che non dichiarino guerra al palato, optando per un vino dai profumi spiccati aromatici o semi aromatici, che permettano di   incontrare al meglio il gusto del limone. Vista la bella occasione dell’abbinamento di oggi, vi sottopongo due proposte:

  • un vino kosher dalle nitide matrici di abbinamento religioso con uno splendido Ofi 2019 Moscato secco Kosher della Cantina di David. Vino piacevolissimo, immediato, simbolo dell’azienda Cantina Sant’Andrea di Terracina (cantinasantandrea.it), dall’ottimo rapporto prezzo/qualità. Splendido da aperitivo, risulta essere ottimo accompagnamento per pesci di pregio e carni bianche, capace di esaltarne i sapori e lasciare al palato un gusto fruttato ma intenso, fresco e morbido ma allo stesso tempo asciutto. Con i suoi 13° gradi, questo Moscato, a lentissima fermentazione conserva tutto l’aroma delle uve dalle quali cui proviene, al 100% raccolte manualmente, espressione di un microclima unico, coccolato e favorito dalla brezza marina; 
  • per un abbinamento non legato alla tradizione ebraica, potremmo invece provare un vino che ha sbaragliato i palati a livello mondiale ovvero con il grande Sauvignon Blanc Turranio DOC FriuliBosco del Merlo, un Sauvignon Blanc in purezza, frutto di un accurato studio di selezione clonale. La vendemmia separata dei diversi cloni del medesimo vitigno, in epoche diverse, permette di creare l’armonica complessità di questo prodotto con profili aromatici di grande eleganza e finezza, rintocchi agrumati, vegetali e minerali di pietra focaia, mentre l’impatto gustativo è segnato dalla persistente vena sapida. I vini derivanti dalle diverse vendemmie sono infatti molto diversificati e concorrono a creare una spiccata identità. Le prime avranno il compito di dare freschezza e mineralità mentre poi saranno ricercati struttura e corpo. Le vendemmie sono effettuate nelle ore notturne. 

Leggere con Gusto, la rubrica che parla di libri e cibo. 

Michela Scomazzon Galdi

Michela Scomazzon Galdi, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti del Lazio, mi occupo da oltre 20 anni di comunicazione e organizzazioni eventi nel settore della cultura. In anni più recenti ho scelto di lavorare “per le donne e con le donne” e aiuto le artiste, in particolare quelle emergenti, a promuovere le loro opere e i loro progetti (libri, mostre d’arte, piccoli festival di cinema ecc.) attraverso il supporto di una comunicazione a colori per contribuire insieme a diffondere bellezza nel mondo. Ho lavorato tanti anni per il Dialogo interculturale, anche attraverso un Festival di cinema e cultura ebraica da me ideato e del quale sono stata Direttrice artistica e organizzativa per 10 anni. Pasionaria, salvata dai libri, leggo, scrivo, fotografo (soprattutto la mia amata Roma), adotto meticci e sperimento ricette di cucina. Le mie parole guida nella professione? Cultura, Bellezza, Donne, Diritti, Colori. Il mio mantra professionale e di vita? Mettici più cuore e meno cervello.

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