A voice from apart

“La notte di Lisbona” di Erich Maria Remarque: recensione libro

Il libro che vi presento produce un tuffo al cuore leggendolo. Un malessere profondissimo. Il libro in questione è “La notte di Lisbona” di Erich Maria Remarque. Non so quale dono avesse la penna di Remarque, ma gli consentiva di rendere conto dei fatti che narrava in modo davvero sublime. E anche questa volta ci riesce. Oramai mi devo rassegnare – l’ho capito! – a versare una profusione di lacrime allorquando mi trovi in presenza delle sue opere; e non penso che ci farò mai il callo. Forse la capacità di descrivere i fatti della guerra, la normalità delle vite interrotta, la fuga di coloro che non erano ben accetti dallo loro Patria – mi rendo conto che ciò è un eufemismo –, ma sopra ogni cosa la capacità di descrivere lo stato di tensione quasi palpabile nell’aria che respirano i protagonisti delle sue storie dipende con tutta probabilità dal fatto che egli sapeva bene di che cosa stesse parlando, perché alla (prima) guerra mondiale aveva partecipato, rimanendone ferito, e allo scoppio della seconda guerra mondiale, dopo essere stato esiliato in Svizzera nel 1932, venne privato della cittadinanza tedesca, trasferendosi così negli Stati Uniti.

Ne “La notte di Lisbona” si intrecciano due fatti

Questa opera racconta due fatti che si intrecciano: la fuga o per meglio dire l’esodo delle persone che sono fuggite il più lontano possibile dalla Germania e dagli altri Stati occupati dai nazisti per sopravvivere alla barbarie perpetrata da questi ultimi, con l’intenzione di trovare salvezza in America, e una struggente, commovente storia d’amore tra il signor Schwarz e sua moglie Helen, il cui ricordo ci sarà fornito dal “protagonista” del libro al quale il signor Schwarz gliene ha fatto dono affinché ne custodisse la memoria.

Oltre non aggiungo: ciò che ho provato leggendo “La notte di Lisbona” assume più il linguaggio delle emozioni che delle parole, e non ha traduzione

Non voglio aggiungere nient’altro; tutto quello che quest’opera mi ha lasciato è custodito nel mio cuore e non riesco a esprimerlo più di quanto non abbia fatto sino a ora. Questo crogiolo di emozioni, presente che quest’opera mi ha fatto, ha le fattezze di un magma ribollente, e, ogni volta che mi affaccio su di esso, riprovo ciò che ho provato leggendo la storia del signor Schwarz, ma assume il linguaggio delle emozioni, non delle parole, sicché per una buona parte di esso non vi è traduzione possibile.

L’incipit de “La notte di Lisbona” chiarisce bene l’atmosfera nella quale questo romanzo ci proietta

Erich Maria Remarque
(Fonte: www.it.wikipedia.org)

“Guardavo attentamente la nave tutta illuminata che un po’ distante dalla banchina era ancorata nel Tago. Benché fossi a Lisbona da una settimana, non mi ero ancora abituato alla luce spensierata della città. Nei paesi dai quali venivo, le città, di notte, erano nere come miniere di carbone, e un fanale nelle tenebre era più pericoloso della peste nel medioevo.

“Sulla nave, un piroscafo per passeggeri, si stavano facendo le operazioni di carico. Sapevo che doveva partire la sera successiva. Al vivo bagliore delle lampadine scoperte si stivavano carichi di carne, pesce, conserve, pane e legumi; facchini trascinavano a bordo i bagagli e una gru sollevava casse e colli così silenziosamente che pareva non pesassero nulla. La nave si preparava al viaggio come se fosse un’arca ai tempi del diluvio. Era infatti un’arca. Tutte le navi che in quei mesi del 1942 lasciavano l’Europa, erano arche. Il monte Ararat era l’America e le acque montavano di giorno in giorno. Da un pezzo avevano inondato la Germania e l’Austria e si erano addentrate in Polonia e a Praga; Amsterdam, Bruxelles, Copenaghen, Oslo e Parigi erano già sommerse, le città italiane erano esposte alle fetide ondate e anche la Spagna era ormai poco sicura. La costa portoghese era l’ultimo rifugio dei fuggiaschi per i quali giustizia, libertà e tolleranza contavano più che la patria e l’esistenza. Chi non riusciva a raggiungere di lì la terra promessa dell’America era perduto e costretto a dissanguarsi nel groviglio dei rifiutati visti d’entrata e d’uscita, degli irraggiungibili permessi di lavoro e di soggiorno, dei campi d’internamento, della burocrazia, della solitudine, della terra straniera e della orribile indifferenza generale di fronte alla sorte dei singoli, la quale è la solita conseguenza della guerra, della paura, della miseria. A quel tempo l’uomo non era nulla, un passaporto valido tutto.”

Quest’opera è degna di essere letta anche se non è tra le opere più note di Erich Maria Remarque

Non è forse il più noto romanzo di Erich Maria Remarque, questo, e credo perciò che debba essere riscoperto. “La notte di Lisbona” è un esempio nitido di come romanzi “secondari” non hanno nulla da invidiare a quelli più noti di un medesimo autore. Ne consiglio quindi fortemente e caldamente la lettura.

“La notte di Lisbona” di Erich Maria Remarque, edizioni Neri Pozza Editore. A voice from apart.

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