“L’archivio dei destini” di Gaëlle Nohant: recensione libro

Le macerie di silenzi portano dolore. Quando la verità è nascosta lì, rimuoverla non è facile. Tra i detriti di esistenze spezzate affiorano pezzi di vita da ricostruire, ai quali dare un nome. Un po’ come gli oggetti abbandonati che raccontano qualcosa, ma la loro storia ad un certo punto si ferma. Riportare a galla la prosa di ciò che è stato significa rimettere le cose al loro posto.

E questo comporta la scrittura di una sofferenza nuova e atavica. Tracciare la via del ricordo apre strade e scoperte, anche agghiaccianti e vergognose, iniziate con il termine dei respiri. Se poi si ha a che fare con un genocidio, essa sopravviverà come testimonianza di voci oppresse, schiacciate, umiliate, eliminate, nel loro essere. Da quel punto ricomincia la storia da raccontare soprattutto a chi chiede di sapere. Consegnare un oggetto alla famiglia di un deportato ai campi di concentramento equivale a riportarlo in vita segnando anche la via tortuosa che ha preso, intrecciando ad esso altre storie, altri destini, altre esistenze.

In L’archivio dei destini di Gaëlle Nohant ripercorri le tracce di coloro che sono finiti nei lager nazisti. Irène, francese di nascita, trasferitasi in Germania lavora ad un centro di documentazione dove, alla fine della Seconda guerra mondiale, si conducono ricerche sul destino delle vittime del regime nazista. Le è stato affidato un compito: restituire migliaia di oggetti rinvenuti nei campi di sterminio alle famiglie dei loro proprietari. Quegli oggetti racchiudono segreti, speranza e molto altro ancora. Le vittime, in questo modo, ritroveranno posto tra i vivi e la loro memoria resterà intatta.

Il romanzo è bellissimo. La storia è straziante dal punto di vista emotivo ed umano. La scrittura è un abbraccio, fluida e affascinante.

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“L’archivio dei destini” di Gaëlle Nohant, edizioni Neri Pozza.  Dream Book.