A voice from apart

“Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway: recensione libro

Avvertenza: questa recensione contiene spoiler.

La trama de “Il vecchio e il mare”

È una storia semplice quella che Ernest Hemingway termina di scrivere nel 1951 e che dà alle stampe nel 1952: racconta di un vecchio pescatore, Santiago, che, dopo 84 giorni di pesca infruttuosa nell’Oceano Atlantico, avvilito per lo scarso risultato, decide di sfidare la sorte e ritentare ancora, spingendosi però molto più al largo di quanto non avesse fatto nei giorni precedenti. All’86° giorno, a una delle trappole che aveva sistemato, abbocca un pesce spada, il più grande che Santiago abbia mai pescato in vita sua, con una lunghezza di circa 5 metri e mezzo, e ingaggia una “lotta” col nobile «fratello» marino che durerà per giorni. I giorni che passano sono all’insegna delle difficoltà per Santiago: il pesce spada tenace, che non pensa proprio di mollare la presa, di dargliela così facilmente vinta al pescatore cubano; la scarsità di viveri; le ferite che derivano dal regolare la lenza affinché il pesce non fugga o non si faccia troppo del male o dai movimenti imprevisti e strattonanti della preda che richiedono una tempestiva azione mirante a bloccare la lenza che lesta si srotola; la schiena che si indurisce per l’eccessiva fatica; quella mano sinistra che, cattiva, è presa dal crampo e, in ultimo, quando l’animale oramai ucciso viene attraccato alla barca del pescatore, la lotta impari e furiosa ed estenuante con gli squali e i pescecani che, nel corso del ritorno di Santiago a casa, banchetteranno con la carcassa inerme del fiero e nobile pesce spada. Quei giorni, inoltre, sono, per Santiago, all’insegna della solitudine: Manolin, il ragazzo che era solito andare a pesca con lui, per un ordine del padre, non è andato e il vecchio si trova ad avere la compagnia solo di sé stesso, della sua preda, del mare e di una stanca silvia che, in uno di quei giorni di azione, si era posata sulla poppa della barca.

Santiago così vince la “lotta” contro il pesce spada, ma si trova sconfitto dai pescecani che si cibano della carcassa argentea dalle strisce color viola della preda legata al fianco della barca del vecchio pescatore. Una volta a riva, infatti, di quel simbolo di fierezza e nobiltà che Santiago scorgeva nel fraterno amico pesce spada non rimarrà che la sua coda e la sua grande testa appuntita.

Lo stile di Hemingway è isomorfico alla storia raccontata ne “Il vecchio e il mare”

Lo stile di Hemingway è isomorfico alla storia: semplice, scarno, privo di eccessivi fronzoli, parsimonioso di aggettivi; insomma, non lontano da quello delle sue opere precedenti e al quale ci ha abituato. Sembra incarnare a pieno lo stile che era richiesto ai giornalisti del “Kansas City Star”, giornale presso cui svolse il ruolo di cronista una volta diplomatosi: un linguaggio moderno, rapido e “oggettivo”.

Dalla penna di Ernest Hemingway nasce un’opera ricchissima di simbologia

Ebbene, da una storia semplice scritta con un linguaggio altrettanto semplice, nasce un’opera ricchissima di simbologia. Nel rapporto tra il pesce spada e Santiago non è difficile scorgere quello dell’uomo con la vita; nelle interazioni tra Santiago e sé stesso o tra egli e quella fugace silvia – decisamente più interessanti, a mio avviso, della “storia” tra il vecchio pescatore e il pesce spada – non è difficile scorgere quel fugace supporto che ci viene arrecato da coloro che incontriamo sulla nostra strada; dai temibili pescecani che si cibano della carcassa non è difficile scorgere le difficoltà che erodono le nostre risorse e appesantiscono la nostra vita, rendendocela di giorno in giorno più difficile viverla; nell’assenza di Manolin e di alcuni attrezzi non presenti sulla barca non è difficile, infine, scorgere la mancanza di coloro o di quelle cose delle quali, nella nostra vita, avremmo più bisogno ma che non sono disponibili per noi in quel particolare momento, da qui la valenza delle parole che Santiago dice a sé stesso per non arrendersi: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai.»

I temi ricorrenti nelle opere di Ernest Hemingway sono almeno due

C’è infatti un tema ricorrente nelle opere di Ernest Hemingway, e che qui è chiaro e accecante quanto quel sole che brucia la pelle di Santiago: l’uomo raramente trionfa pienamente, ma, anche quando la sconfitta è totale, ciò che conta è l’insieme degli sforzi che si sono fatti per affrontare il destino: è in questo, invero, che consiste la vittoria nella sconfitta. Un altro tema caro allo scrittore americano è quello della violenza (qualunque forma questa assuma): la violenza, sembra dirci in tutte le sue opere Hemingway, non porta a nulla ed ella rappresenta la vera e propria sconfitta totale dell’uomo.

Hemingway riteneva che “Il vecchio e il mare” fosse sprovvisto di un qualsivoglia simbolismo

Ernest Hemingway
(Fonte: www.en.wikipedia.org)

Eppure, nonostante tutto il simbolismo di cui quest’opera è carica, Hemingway respinse sempre l’idea che quest’opera ne fosse provvista, fino ad arrivare a dichiarare apertamente, come ci fa sapere nella Introduzione al testo Fernanda Pivano, “che il segreto del romanzo consisteva nel fatto che non c’era nessun simbolismo e l’emozione era creata esclusivamente dall’azione”. Non solo non sono d’accordo con Hemingway su questo punto, sebbene abbia rispetto per il giudizio che il creatore ha dato alla sua creazione, ma non posso credere che egli non si fosse accorto di quanti diversi e variegati significati si sarebbe potuta ammantare la sua creazione.

Quali impressioni mi ha suscitato “Il vecchio e il mare”?

Per quanto mi riguarda, ho trovato “Il vecchio e il mare” interessante. Ne ho apprezzato la simbologia profonda – checché ne pensi Hemingway – e soprattutto, torno a ribadire, alcune interazioni tra il vecchio Santiago e alcuni compagni naturali secondari, più che quelle con il pesce spada. Sono sicuro che Hemingway mi perdonerà se neanche con l’ultima fatica che vide pubblicata in vita è riuscito a convincermi sulla bontà del suo stile – riconoscendo ovviamente il contributo che ha purtuttavia dato alla letteratura americana. Mi consolo nel fatto che il mio giudizio rappresenta un connubio di quelli che espressero i critici letterari e gli artisti all’uscita dell’opera nel 1952: tra chi infatti ne tracciava le lodi – Bernard Berenson, storico dell’arte e critico letterario che fece pubblicità al libro, scrisse: «Nessun vero artista scrive simboli o allegorie – e Hemingway è un vero artista – ma ogni vera opera d’arte emana simboli e allegorie. Così avviene per questo breve ma non piccolo capolavoro» – e chi la stroncò, come fece Dwight MacDonald, indicandola come esempio di pessima letteratura, io mi voglio collocare al centro, perché raramente di qualcosa ne vedo o solo il bianco o solo il nero.

Ultime considerazioni

Una volta che si supera lo scoglio di una terminologia marina abbastanza tecnica e, per chi come me non gradisce molto i linguaggi aridi, lo stile di Hemingway, si può apprezzare senza dubbio una simbologia molto profonda e che, soprattutto, secondo me, sembra darci la possibilità di farci “entrare nella mente di Hemingway” per farci comprendere, forse, qual era il suo stato mentale in quegli ultimi anni di vita.

“Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, edizioni Mondadori. A voice from apart.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio