La riservatezza, che detta i tempi del silenzio, in alcuni casi è inespugnabile. Non si cava un ragno dal buco da coloro che decidono di tenere la bocca chiusa su ciò che li riguarda. Si è riservati per carattere oppure per necessità. Quando si pensa che la vita degli introversi sia priva di sorprese, di slanci, poco interessante, si scopre poi che è una risorsa di storie, di loquacità silente.
In Tatà di Valèrie Perrin conosci una storia ricca di sorprese, di segreti e di troppi silenzi. Agnès non crede alle sue orecchie quando viene a sapere della morte della zia. È impossibile. La zia Colette è deceduta tre anni prima, sulla lapide del cimitero di Gueugnon c’è il suo nome. Agnès, regista cinematografica di successo, è l’unica parente. A lei spetta il compito di riconoscere il cadavere e non c’è dubbio, si tratta proprio della zia Colette. Ma allora chi c’è nella sua tomba? E perché per tre anni l’anziana ha fatto credere a tutti di essere morta? Agnès ricostruisce la storia della sua famiglia grazie a diversi nastri registrati dalla stessa Colette. Scopre alcuni legami con l’unica sopravvissuta di una famiglia ebrea deportata e sterminata dai nazisti, l’esistenza di un assassino senza scrupoli, le subdole manovre di un insospettabile pedofilo e il grande talento di un pianista. Zia Colette con la nipote non parlava mai, solo l’essenziale, ma le ha lasciato in eredità alcune storie, sue e di altri, che sono la fonte di una cercata riservatezza.
Il romanzo è stupendo. La narrazione vive attraverso l’intreccio di storie che sono ben costruite. I personaggi sono vividi, affascinanti. I colpi di scena arrivano nei punti giusti. La scrittura è profonda.
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