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“Il diavolo in corpo” di Raymond Radiguet: recensione libro

Ci sono dei libri, non importa quanto imponenti, che producono in noi una strana sensazione: di intrigo, come lettori, di irritazione, come persone che fanno difficoltà a raccapezzarsi di fronte al tema che è stato trattato, come se si fosse all’interno di un labirinto di parole che rende difficile per noi trovarvi un’uscita, una degna e corretta interpretazione. E ciò che rende il quadro ancora più complicato è che, come per ogni cosa dalla quale siamo attratti e per la quale non troviamo una soluzione accettabile (almeno per noi), continuiamo a pensarci quasi costantemente, addirittura ci troviamo a sognarla (come mi è capitato!). Ebbene, “Il diavolo in corpo”, questo piccolo libricino di sole 133 pagine, scritto da un giovanissimo Raymond Radiguet, che morì precocemente all’età di 20 anni, nel 1923, ha prodotto in me quell’effetto di cui più sopra parlavo.

“Il diavolo in corpo” di Raymond Radiguet è la storia di un adulterio

La storia, in fin dei conti, è semplice. Essa si svolge in un periodo che va dalla Prima Guerra Mondiale sino a qualche anno dopo la fine della stessa, quando regna la pace. In questo scenario bellico e post-bellico prende forma l’amore di un giovanissimo ragazzo (sedicenne), il cui nome non ci è dato sapere, per Marthe, una donna giovanissima (diciannovenne) già promessa a Jacques, un soldato francese impegnato al fronte, e che sposerà, nonostante sia da parte sua (di Marthe, cioè) che del protagonista-narratore – il ragazzo sedicenne – si svilupperà forte come può essere l’edera che cresce sui muri una liaison travolgente. La storia, insomma, è una storia d’amore che sfocia nell’adulterio.

Una strana sensazione di intrigo e irritazione è scaturita dalla lettura dell’opera di Radiguet

Che cosa ci potrebbe mai essere di così intrigante e irritante allo stesso tempo in una storia d’amore che assume le forme di un adulterio? Che cosa di questa storia potrebbe addirittura occupare i nostri lucidi pensieri, invadere i nostri sogni?

Il modo in cui il protagonista-narratore vive questa liaison, rispondo io, o, almeno, per me è stato così.

Mi ha fatto un (altro) strano effetto leggere questo libro: mentre percorrevo, leggendole, le linee di questo amore, mi pareva che colui che in prima persona aveva concorso a tracciarle mi stesse raccontando quelle cose da “lontano”, in modo “distaccato”, “freddo”, certamente vissute, non v’è dubbio su questo, ma quasi come se non vi avesse partecipato, quasi come se avesse semplicemente descritto dal davanzale della finestra dalla quale osservava con occhio attento e aquilino lo svolgersi di quella storia che lo vedeva protagonista. Sono consapevole che sembra contraddittorio, ma questa è proprio una cifra dell’opera. Lo stile espressivo del quale Radiguet si avvale mette nero su bianco una «prosa psicologica e raziocinante», e lui stesso – Radiguet – è descritto da Francesca Sanvitale, che cura la traduzione di quest’opera, come un «ragazzo fatto di intellettualismo e passione». Il punto è che quando queste cose sono inserite all’interno di un’opera, tutte magistralmente misurate, dosate, soppesate, l’effetto è fortemente straniante.

«L’amore è la forma più violenta dell’egoismo»

Raymond Radiguet
(Fonte: www.vanillamagazine.it)

Così il sedicenne innamorato di Marthe ai nostri occhi pare sì innamorato di Marthe, ma razionalizza i suoi sentimenti, sembra più incline a descriverli che a viverli, e tutto ciò porta il lettore a farsi una strana idea: questo amore così travolgente sembra essere un amore egoistico – è proprio il protagonista che, a un certo punto, proprio in una delle sue descrizioni, dice: «l’amore è la forma più violenta dell’egoismo». Partiamo dall’amore per Marthe. Questo sembra sbocciare, o forse è più corretto dire consolidarsi, allorquando lui viene a sapere che lei è promessa, ha un fidanzato e promesso sposo. Marthe diviene così un vero e proprio premio da ottenere. Non è infrequente nella prosa l’uso di verbi quale, a esempio, “appartenere” – «Mi impediva di appartenermi», dice il protagonista un po’ stizzito della sua Marthe.

È una prospettiva sull’amore particolare, quella raccontata ne “Il diavolo in corpo”…

È un amore particolare quello che viene raccontato: quello per il quale il succo di un tale frutto (l’amore di Marthe) è più dolce quanto più quel frutto gli era precluso, gli risultava proibito.

L’amore che qui viene narrato sembra dunque seguire le dinamiche di un particolare gioco di prestigio, uno di quelli che sono in grado di trasformare un bicchiere d’acqua pulita in un bicchiere d’acqua sporca; allo stesso modo il protagonista-narratore è in grado con costanza di trasformare un amore che avrebbe potuto essere vissuto all’insegna di una passione e devozione autentica, sincera, in un amore improntato all’egoismo. Marthe dunque fa comodo averla vicina quando è lui che ne sente la mancanza, quando vorrebbe soddisfare le sue passioni, ma la vorrebbe anche lontana quando diventa ai suoi occhi insopportabile, quando i suoi atteggiamenti, questi sì di una donna davvero innamorata, confliggono con il senso di libertà che lui vorrebbe preservare. Insomma, Marthe sembra essere, per lui, un oggetto. Ciò fa indubbiamente emergere la questione: “Che ruolo assume la donna – Marthe, cioè – in questo romanzo?”

Ma come ho detto prima il protagonista, che sappiamo dalla postfazione di Francesca Sanvitale si sarebbe forse dovuto chiamare Emmanuel, ama Marthe. Allora, sulla base di quello che abbiamo detto, e con le parole proprio della Sanvitale, possiamo giungere a capire che «nel protagonista l’amore, con tutte le sue contraddizioni, lotta contro il bisogno ancora più forte di un’incondizionata libertà; donna/amore e libertà sono incompatibili benché il protagonista senta, per contraddizione, che l’unica ragione di vita è l’amore. Marthe, la donna-ragazza, vive il bisogno di un sentimento totale e vi sacrifica tutto (famiglia, decoro, [etc…]). Due romanticismi, due modi di essere giovani».

“Il diavolo in corpo” di Raymond Radiguet: un’opera particolare

“Il diavolo in corpo”, quindi, viene a tratteggiarsi come qualcosa di molto complesso e particolare. “Il diavolo in corpo” è il complesso di sentimenti, che tesi al limite divengono contraddittori, che prova chi, avendo sperimentato l’eversione prodotta dalla guerra, col suo ferro mortale e il suo fuoco inclemente, sperimenta, quasi come una reazione involontaria, l’eversione del cuore, spingendo il sentimento dell’amore sino al suo opposto, generando quell’antitesi che si esperisce vivendo entrambi i sentimenti nello stesso tempo, nello stesso essere. “Il diavolo in corpo”, opera scritta tra il 1921 e il 1922 e pubblicata alle soglie della morte del suo autore, nel 1923, mi ha stupefatto non tanto per la storia in sé – un adulterio – quanto per come viene vissuto dal protagonista, per come egli ne dà conto, per cosa prova.

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“Il diavolo in corpo” di Raymond Radiguet, edizioni Einaudi Editore. A voice from apart.

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