Giuseppe Antonio Borgese: lettore, critico e autore, antifascista
… la lettura infatti, al contrario della conversazione, consiste per ciascuno di noi nel venire a conoscenza del pensiero di un altro senza smettere di essere soli, vale a dire continuando a godere del vigore intellettuale che si ha in solitudine, e che la conversazione dissolve immediatamente …
Marcel Proust Sulla Lettura [1905]
Egregio Lettore,
Più di un anno fa, in occasione di un articolo del Corriere della Sera su Giuseppe Antonio Borgese, abbiamo parlato per la prima volta di questo autore. Oggi vorrei tornare a questo personaggio della cultura letteraria dell’Italia del primo novecento. Gli attributi -lettore, critico, autore-, sebbene comprendano gran parte della attività di questo poliedrico uomo non bastano per ottenere un quadro completo. Dovremmo aggiungere giornalista combattivo, traduttore, promotore di autori italiani e internazionali, editore, accademico a livello nazionale e internazionale, professore con esperienza in aula, diplomatico in missione all’estero, antifascista di grande valore, utopista. Vorrei parlare di un grande italiano, del suo lavoro, del suo tempo, del fatto che è stato dimenticato.
Questa volta scrivo in occasione di una nuova edizione di “Romanzi e racconti” di G.A. Borgese uscita presso La nave di Teseo, Milano 2023. (Qui sono usciti anche altri testi dell’autore.) Grande riconoscenza, dunque, dobbiamo all’editore e alla Fondazione G.A. Borgese che con le loro recenti edizioni di alcune opere di Borgese hanno fatto un primo passo per migliorare la presenza dell’autore nelle librerie in un modo molto significativo. Esiste una grande quantità di documenti sulle opere e sulla vita del Borgese, a volte difficili da trovare e da consultare. E manca soprattutto una biografia che riunisca tutti i fili esistenti in un ricco tessuto. La persona di Borgese meriterebbe tale sforzo. Egli è stato senza dubbio un personaggio di altissimo livello culturale nella storia intellettuale d’Italia della prima metà del novecento.
Il 9 Settembre 2024 per la prima volta è stato assegnato il “Premio Borgese – Città di Polizzi Generosa”. Il premio sostiene la realizzazione di progetti di ricerca su Borgese e quest’anno va a Federico Sessolo della Normale di Pisa e al suo progetto “L’alleanza dello spirito di G.A. Borgese e la famiglia Mann in America”. Su quest’autore in vari archivi del mondo resta ancora una vasta quantità di documenti mai compilati.
Oltre a una discussione più generale delle condizioni dell’intellettuale Borgese nel primo dopoguerra vorrei dedicare ampio spazio al suo romanzo “I vivi e i morti”. Questo romanzo e il suo protagonista offrono accesso ad alcune idee fondamentali e alla condizione psicologica del suo autore ma senza dare troppo peso ad alcuni motivi paralleli della vita sia del protagonista che del suo autore.
Giuseppe Antonio Borgese nasce nel 1882 a Polizzi Generosa nel Palermitano, al tempo una cittadina con più di settemila abitanti, affascinante luogo della Sicilia. Nel 1899 si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Palermo. Nel 1903 si laurea all’Università di Firenze. Negli anni seguenti si afferma come giornalista rinomato e comincia anche una brillante carriera accademica. Nel 1909 ottiene la cattedra di Letteratura tedesca a Torino a solo 27 anni. L’anno seguente vince la stessa cattedra all’Università di Roma e nel 1912 comincia la sua collaborazione con il Corriere della Sera di Milano per cui scrive contributi per le pagine della cultura e letteratura e della politica estera. A causa delle opinioni divergenti sul fascismo emergente e la politica estera, Borgese perde l’incarico di autore fisso del settore politica estera del Corriere nel 1921 (il Corriere in questi anni è molto nazionalista) ma resterà collaboratore esterno fine al 1934. Altro grande impegno è stato il suo lavoro come editore e traduttore per la Mondadori di Milano che pubblicava anche i suoi libri. Un prestigioso progetto editoriale è stato la sua “Biblioteca Romantica” (romantica come romanzo), collana di letteratura universale che comprendeva un canone dei classici internazionali, anche contemporanei. Italo Calvino nel 1981, per un convegno a Milano ha definito l’impresa della “Romantica” come “cerniera in un momento di rinnovamento del gusto e dei bisogni culturali e degli orizzonti critici” che intende “dare una piattaforma, costruire delle fondamenta alla cultura letteraria, al fascino del grande romanzo, per gli italiani che s’affacciavano allora all’orizzonte della lettura”.
Fra 1915 e 1921 Borgese scrive numerosi libri sulla storia, politica nazionale e internazionale. La sua collaborazione con Arnoldo Mondadori è stata interrotta nel 1934 e ricomincia nel 1944 quando Mondadori dal suo esilio in Svizzera contatta Borgese. Con l’inizio degli anni Venti Borgese si ritira dalla critica militante, dalla politica e dal suo impegno pubblico, cominciando il suo “decennio della creatività artistica” in cui scrive romanzi, novelle e opere teatrali e si dedica alla sua carriera accademica.
Dopo la Grande Guerra il governo italiano gli affida varie attività diplomatiche per salvaguardare interessi italiani nella volatile fase del primo dopoguerra, attività che anni dopo si traducono in accuse dei fascisti verso il governo nel quadro della cosiddetta “vittoria mutilata”.
Dal 1917 a 1925 Borgese è stata professore della Accademia scientifico-letteraria di Milano. Nel 1926 l’Università di Milano crea una cattedra di Estetica e Storia della critica per Borgese. A riguardo del suo pensiero sui doveri e obiettivi della critica letteraria, in particolare nel contesto delle tendenze e posizioni di allora in questo campo si possono consultare varie fonti che offrono una vista più panoramica (La “Storia Generale della Letteratura Italiana” a cura di Borsellino/Pedullà dedica tanto spazio a spiegazioni molto dettagliate su Borgese e il suo tempo. E naturalmente ci sono gli scritti del Borgese, fra altri il suo contributo alla Enciclopedia italiana del 1931 sul lemma <Critica> o il suo libro “Tempo di edificare”). Quest’ultimo libro, pubblicato nel 1923, Borgese ha 41 anni, segna uno spartiacque nella sua carriera. Lui scrive che dopo una doppia esistenza come critico e autore,
“una cosa moralmente e intellettualmente difficile”…”è venuto per me, già da tempo, il tempo di edificare, di essere pienamente quale è mio dovere d’essere, scrivendo i libri d’arte e di storia che ho promesso a me stesso, e lasciando ai critici nuovi il compito di giudicare alla loro volta. S’intende che non è tempo di edificare solamente per me. La generazione alla quale io appartengo ebbe un destino per certi rispetti troppo pesante e per certi altri un po’ futile. Fu costretta a rifarsi tutto da capo: il gusto, la cultura, le convinzioni, le idee.”
Nello stesso libro Borgese chiede una nuova critica, meno superficiale e presuntuosa, una critica costruttiva, di grande lungimiranza. Borsellino scrive: “Borgese rappresenta il caso certamente più vistoso nella cultura letteraria ante e postbellica di conversione della critica in una “Weltanschauung”, etico-politica se non filosofica.”
In questa richiesta di una nuova critica echeggiano anche varie sfumature, spesso contradittorie, di tentativi di ristabilire un ordine nella prosa o come dicevano altri di un “ritorno all’ordine”. I primi anni Venti furono un periodo in cui dopo la fase eccitata di un sfrenato sperimentalismo di varie sfumature di una avanguardia futurista, si nota una svolta verso la grande tradizione italiana per quanto riguarda stile, forma e tema del romanzo.
Per Marinetti e il futurismo antebellico Borgese non ha mai provato più di un interesse cautelare. Dopo la guerra, con un Marinetti oscillante fra gli estremi della sinistra e della destra e un futurismo in piena transizione verso il fascismo, Borgese ha preso distanza da questo movimento dal loro “Guerra, sola igiene del mondo”, fine alla forte condanna nel suo libro contro il fascismo “Goliath” del 1937.
Il primo romanzo di Borgese, il “Rubè” pubblicato nel 1921 (primo anno del suo “decennio creativo”), riceve proprio una vera cornucopia di stroncature da ogni angolo della critica. I vecchi nemici Crociani, quelli del “ritorno all’ordine”, Gramsci e i comunisti, i fascisti, tutti uniti contro il romanzo e il suo autore. Insomma, la critica della letteratura è stata da sempre un “covo di vipere”, una resa dei conti e troppa politica. È sia deludente che esaltante seguire queste vecchie guerre, questa lotta tra opinioni e interpretazioni divergenti di combattenti che nessuno ricorda più. È più importante che prosperi la letteratura che la critica. Considerando anche il fatto che Borgese ha lasciato l’Italia per gli Stati Uniti nel 1931, non a sorpresa il suo nome veniva dimenticato negli anni Trenta e Quaranta.
Il romanzo racconta la storia del giovane Filippo Rubè che prima del primo conflitto mondiale cerca la sua fortuna come avvocato a Roma. Con la guerra, influenzato dai futuristi si arruola, subisce un forte trauma depressivo e viene ferito. Dopo la guerra si trova a Milano dove lavora in un’industria. Le sue attività e le sue vicende come marito sono confuse e senza meta. Durante una permanenza a Bologna subisce una morte assurda quando più a caso viene travolto a morte dalla polizia durante una manifestazione socialista diventando un eroe per entrambi, socialisti e fascisti.
Borgese con questo romanzo di una vita qualsiasi schiacciata dalla ruota del tempo fa un tentativo di descrivere l’atmosfera della società del primo dopoguerra e lo stato mentale dell’intera generazione ante e postbellica.
Il romanzo racconta la storia del giovane Filippo Rubè che prima del primo conflitto mondiale cerca la sua fortuna come avvocato a Roma. Con la guerra, influenzato dai futuristi si arruola, subisce un forte trauma depressivo e viene ferito. Dopo la guerra si trova a Milano dove lavora in un’industria. Le sue attività e le sue vicende come marito sono confuse e senza meta. Durante una permanenza a Bologna subisce una morte assurda quando più a caso viene travolto a morte dalla polizia durante una manifestazione socialista diventando un eroe per entrambi, socialisti e fascisti.
Borgese con questo romanzo di una vita qualsiasi schiacciata dalla ruota del tempo fa un tentativo di descrivere l’atmosfera della società del primo dopoguerra e lo stato mentale dell’intera generazione ante e postbellica.
Il romanzo “i vivi e i morti”
Borgese, in una lettera del 1912 definisce come obiettivo centrale e atmosfera dominante che sta alla base della sua letteratura “una matura concezione serenamente pessimistica della vita”.
“I vivi e i morti” è stato pubblicato nel 1924 (l’anno dopo la pubblicazione di “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo). Borgese ha poco più di quarant’anni e si è ritirato da poco dalla vita pubblica. Il periodo in cui si sviluppa la trama del romanzo sono gli anni 1913 – 1918, ma la guerra non è protagonista del libro. È lecito supporre che i pensieri del protagonista del romanzo rispecchino quelli di Borgese dopo il primo conflitto mondiale. È una storia molto privata, senza particolari ‘grandi eventi’ e con pochi personaggi. Al centro un protagonista, Eliseo (Elìo) Gaddi, forse con alcune somiglianze con l’autore. Il conflitto del protagonista è un conflitto interno. I suoi pensieri ruotano spesso attorno al tema della morte. Vita e morte, esistenza, “essere nel mondo”, la condizione umana sono il tema del romanzo. Elìo è uno degli uomini il cui “interno” è molto più eccitante dell’esistenza esterna. Pensa, osserva, non agisce, è di una “maturità delusa”, un inetto. Ma se gli inetti sono così, preferisco gli inetti. “Gli era mancata la concupiscenza di gloria e di potere.” È dovuto al carattere chiuso del protagonista che si sta esaminando, se i lettori non si confrontano con una semplice, stretta filosofia di vita da leggere. Non troviamo dialoghi profondi. Al centro resta sempre il suo monologo mentale, la sua filosofia che dobbiamo dedurre da alcuni spesso brevissimi rilievi di Elio stesso. Questo sarà di particolare importanza quando si analizzano le fonti Leopardiane del suo pensiero.
Il romanzo comincia nel 1913: Il quarantenne Elìo Gadda, professore di letteratura a Milano, dall’aspetto più anziano della sua età, si ritira nella cascina di famiglia nella Pianura padana vicino all’Adda dove vivono ancora la madre, il fratello e vecchie conoscenze della sua gioventù. Vorrebbe un “congedo” dalla propria vita. La parola d’ordine sarebbe vivere non scrivere. Ma quando gli viene chiesto perché questo cambiamento lui risponde quasi scherzando, “Allora vi dirò che voglio la solitudine e prepararmi a morire.” Ma ci sono anche momenti in cui dice “mi sono ritirato qui, con la speranza che la terra mi guarisca”.
Osservare il tempo che passa, pensare sul tempo, per Elìo è un’esperienza quotidiana, quasi fisica. Ciò è dovuto all’atmosfera bellica che sta oscurando il mondo, ma principalmente alla innata costituzione spirituale del protagonista. Esistono due modi di pensare sul tempo che passa: da un lato c’è la propria vita vissuta o ancora da vivere, dall’altro invece c’è il tempo sociale e storico, in cui “l’Ego” partecipa; un tempo dove il soggetto, l’individuo diventa più o meno un oggetto. Bisogna essere consapevoli che IL futuro è solo per un tempo limitato il nostro proprio futuro e forse il futuro che verrà non sarà secondo i nostri gusti.
“Ma io non credo alle eterne idee, agli immortali principii. […] Credo che il mondo muti e che venga un tempo tutto di forza e di fortuna. Il tempo giusto e gentile, se mai c’è stato, è morto. [Elìo] …si sentiva sereno e mesto ma non triste; e pensava meno che altre volte alla morte e alla vita. […] Comincia un’altra epoca, di combattenti, di conquistatori. Non c’è più tempo pei sogni. Io invece, penso ad altro.” È questa la “matura concezione serenamente pessimistica della vita”, di cui Borgese parla nella sua lettera del 1912.
“Sì, pensava, la coscienza s’esaurisce e si stanca, e nulla opprime quanto la parola io, infinitamente echeggiante come un gemito, come un suon di vento, nei sotterranei della personalità. S’invoca il sonno la sera; e la morte non è che la fine di una lunga giornata, e l’immortalità sarebbe un supplizio.”
“E temeva la vecchiaia non lontana. In un pomeriggio nebbioso, mentre accendeva il lume, fu come se avesse un’apparizione. Sulla scaletta del magazzino ecco un vecchierello vestito, chi sa perché, d’una veste da camera a mantellina nera con un gallone rosso. Era ben rasato, con la pelle secca e opaca, coi baffetti duri, quasi bianchi, e portava sotto braccio un fascio di carte e di libri, a fatica, con l’aspetto di chi cerca la verità e non la vede, di chi spera il riposo e non lo trova. Così dunque sarebbe stato fra vent’anni? forse quasi cieco, certo solitario e fiacco?”
“Io sono del tempo di là. Trapassato … d’un tempo che sopportava i sentimenti deboli e gentili, le solitudini, le nostalgie. Ho vissuto sempre di rimpianti e di speranze. Quelli che nascono ora devono venir su da sé per vivere robusti nel tempo; non devono trovare la nostra ombra sentimentale, lunga, allampanata sul loro cammino. Io ho guardato sempre all’eternità. Chi ha visto l’eternità deve morire.”
Chi è suscettibile alla malinconia particolare della Pianura padana, ai suoi “Paesaggi dell’anima” nel gioco dell’alternanza fra stagioni e giorni, deve constatare che durante tutto il percorso di questo romanzo il siciliano Borgese si sente proprio a casa nella pianura. Il suo protagonista Eliseo trova sempre momenti di grande intensità nella osservazione della natura e del tempo che passa. Infatti per lui il paesaggio è un interlocutore importante quando con l’arrivo della guerra del 1915 la campagna si vuota:
“Talvolta Elìo andò solo pei campi e le strade ascoltando i grilli che traducevano in suoni lo scintillare delle stelle; ma evitava le case degli amici, e di buon’ora si riduceva nella sua stanza fra i libri “
” Non si vedeva nessun lume umano sulla pianura, e il pianeta dev’era nato gli pareva deserto, senza né frastuono né guerra, con lui viandante negli spazi …”
“- Gran tragedia – pensò – questo passaggio dalla tenebra alla luce, dalla luce alla tenebra, queste catastrofi d’ogni giorno! Gli uomini le vedono tutti i giorni, e non ne tremano più.”
Elìo durante il suo ritiro ha due incontri potenzialmente sentimentali. Ma questi incontri non sono di natura dialogale, sono monologhi anche molto criptici. Il suo pensiero si svolge sempre attraverso i temi della vita e della morte: “… tutto il tempo che abbiamo sulla terra dev’essere dedicato al pensiero dell’eternità. Tutto il tempo che non si pensa alla morte è tempo sperperato, perso”, “Io non ho vissuto che per pensare alla morte, per temerla ed amarla. Questa disposizione c’era già nel mio sangue …”, “Io non ho avuto una vita né regolare, né irregolare. Non ho vissuto” e “obbrobrioso inganno della vita”, queste parole sono le sue osservazioni sul caso. Finalmente chiede alla interlocutrice se ha letto la “Storia del genere umano” di Giacomo Leopardi. Quando lei nega, questo non è molto proficuo per la continuazione della conversazione.
Il lettore che non è a conoscenza del testo di Leopardi e non fa lo sforzo di conoscerlo, perde l’occasione di trovare un importante punto di accesso alla personalità di Elìo e in ogni caso perde un pezzo di letteratura straordinariamente bello:
Leopardi dà espressione alla ricerca umana della felicità e dell’eterna oscillazione dell’uomo tra illusione e delusione.
Gli uomini all’inizio si godono la vita che hanno ricevuto dalle mani degli dei. Ma con gli anni più maturi il mondo perde il fascino per l’uomo. Gli dei con grande stupore devono realizzare che poi l’uomo può anche preferire la morte. Giove cerca di correggere il modello della vita umana sostituendo e aumentando il mero “paradisiaco” con “impiego” che offre un senso attraverso l’arte e l’amore. Fallito anche questo tentativo, Giove, ora arrabbiato, manda agli uomini la “verità”, così venerata da loro. Ma vivere nella verità, essere condannati alla verità non rende più supportabile la vita umana. Allora Giove lascia l’uomo nella sua miserabile condizione e lascia all’uomo soltanto l’illusione dell’Amore, l’unica fonte d’una imperfetta consolazione, illusione più forte anche della verità.
C’è un altro incontro, questa volta con Lilla, donna che Elìo una volta amava. Anche qui il punto di riferimento è Leopardi. Dopo un’ultima conversazione con lei lui si affretta a casa e fruga febbrilmente nella sua biblioteca “Il “Pensiero dominante”, il Canto XXVI, capolavoro di Leopardi scritto nel 1831, sette anni dopo la “Storia del genere umano”. Agisce come se nella conversazione con Lilla avesse improvvisamente capito qualcosa che doveva controllare nel testo. Qui le parole di Pietro Citati che ha analizzato il significato di questo Canto nella sua biografia di Leopardi:
“Nel ‘Pensiero dominante’ – che viene considerato una poesia amorosa – non si parla mai né di amore, né di amare. [ ] Leopardi usa due parole capitali: ‘pensiero’ [ ] e “mente, profonda mente”.
“L’amore, che non abita il cuore, è il culmine del pensiero”, che domina la mente, pensiero non ragionativo o analitico, ma come forza naturale che assalta la totalità dell’universo mentale. “Questo pensiero che dominando conduce dal titolo all’ultimo verso, non è una produzione dell’io, ma qualcosa di assolutamente oggettivo, un dolcissimo e terribile potere sull’io …”. L’oggetto dell’amore si sposta nel suo significato dietro l’amore. “L’amore è solitario e assoluto: niente può metterlo in dubbio; e non si suppone mai che la donna amata debba o possa corrispondere il poeta.”
Non sapranno mai quali parole Elìo sta cercando in questo momento, forse ha in mente le parole dello stesso Leopardi, per cui anche Il Pensiero è illusione e errore (“sogno e palese error” leggiamo nel poema), un inganno di Giove come è stato narrato nella “Storia del genere umano”.
“La Terra è una pellegrina verde e azzurra, nello spazio. E la tua anima è pellegrina nel tempo. E lo Spirito ha una vita smisurata, non meno di quella che tu chiami materia; e la sua vita non è tutta sulla stretta superficie della tua patria la Terra.
Ma l’anima salpa di mondo in mondo, come tu non puoi capire. E l’Eternità t’è promessa, ma tu non la puoi dire a parole.”
Il romanzo si chiude:
“Queste voci egli udiva dall’alto. E pensava alla madre, ad Illa, al fratello, al padre, ad Agata, a Mina, ai vivi ed ai morti, ed alla comunione dei santi, ed ai combattenti sui fronti di guerra. Pensava ad Arianna ed al povero Alvise, raminghi, sperduti sulla riva deserta dov’erra, vestito di caligine, il Pensiero dell’Eterno.
E, a capo scoperto, s’inginocchiò sotto le stelle. …
Egli visse ancora tre anni.”
Leggendo queste righe di epifania, momento d’una fondamentale, immutabile condizione umana, sento un lontano eco del finale di uno dei più bei racconti del primo novecento, “I Morti” di James Joyce. I vivi e i morti e il tempo che passa.
La parola “Inettitudine”
Una parola che spesso si trova nel contesto del romanzo “Rubè” di Borgese e il suo “I vivi e i morti”, romanzo di cui ho parlato nella sezione precedente, è la parola della “inettitudine”. La comparatistica italiana usa questa parola per descrivere (e archiviare) i protagonisti di un gruppo di romanzi del primo novecento italiano. “L’inetto” è una persona inadeguata alla vita, un emarginato incapace di gestire la vita, è pieno di inconcludenza, un passivo e infermo della volontà. Tuttavia, come conseguenza di queste caratteristiche, queste persone possiedono un alto grado di capacità intellettuale di auto-analisi. Il termine “inettitudine” così assume una dimensione introspettiva e psicologica. In questo senso “l’inettitudine” diventa anche malattia dell’intellettuale e del suo “disagio della civiltà”. “Inetto” nel linguaggio italiano corrente ha connotazioni decisamente negative. Un tale uso della parola “inetto” resta ovviamente al di sotto delle esigenze del suo uso nel contesto di una analisi della critica letteraria. I sentimenti negativi verso “l’inetto” sono forse anche influenzati dalla vecchia ideologia secondo la quale il progresso della umanità è quasi una inevitabile legge della evoluzione, una leggenda della politica e dell’educazione. Gran parte dei romanzi sono “Bildungsromane”, romanzi di formazione. È infatti più realistico (e intrigante per il lettore) quando il soggetto della formazione all’inizio non conosce la sua strada giusta. La vita e la storia offrono all’essere umano condizioni in cui soltanto il “misirizzi” è in grado di cadere, alzarsi e continuare la vita senza difficolta, senza pensare, senza il forte disagio dell’aporia.
Gli autori italiani del primo novecento ai quali si è sempre fatto riferimento quando si parla di libri con personaggi “inetti” sono per esempio Svevo (Zeno Cosini), Pirandello (Mattia Pascal) e Borgese (Rubè e Eliseo Gaddi), ma anche i due al tempo giovani autori Federigo Tozzi e Alberto Moravia, scoperti dal critico Borgese. Non credo che questo argomento sia particolarmente utile e fecondo. Gran parte della letteratura europea dell’ottocento e del novecento finirebbe in questa categoria: Rilke, i russi da Puškin a Čechov, Leopardi, Proust, Musil, Thomas Mann, Flaubert, Moravia. Ognuno di questi autori ha creato personaggi che sono stati discussi nel dipartimento “inetti”, ma in realtà appartengono a un mondo molto più diversificato. In questa lista non deve mancare un autore di altissima affinità con Borgese: Hermann Broch. L’autore austriaco [1886-1951] e Borgese [1882-1952] hanno vissuto vite qualche volta parallele, un fatto che spesso non viene menzionato nella letteratura su Borgese, è Broch ancora il grande sconosciuto in Italia. Ambedue gli autori hanno molto in comune per quanto riguarda le loro riflessioni “sull’essere nel mondo”, condividono la stessa “Weltanschauung”. Ho parlato a lungo su Broch in un altro post della mia rubrica. Broch va in esilio in America nel 1938. Broch e Borgese erano amici durante l’esilio. Il problema centrale dei personaggi della trilogia “I sonnambuli” di Broch (scritto fra 1930 e 1932) anzitutto risulta dai tempi in cui le strutture economiche, politiche e sociali si disgregano sempre più velocemente, dove la “Disgregazione dei valori” lascia l’uomo nel vuoto; inoltre l’assurdità d’una filosofia della storia che induce l’uomo a farsi massacrare in una trincea, la scadenza del mandato della religione come istanza normativa di consulenza su Sein e Sinn. L’analisi di Broch della disgregazione dei valori non è un’analisi esclusivamente legata all’epoca ma un’analisi delle condizioni della vita umana stessa, dell’essere al mondo dove manca un centrale punto di riferimento negli isolati sistemi di valori, dove il pensiero culturale perde la sua plausibilità. Borgese nel 1932 nel suo diario americano scriveva dei sui romanzi che in loro trovarono espressione “il disordine e la tragica inconcludenza della mente contemporanea.
Tutte queste parole rivelano la forte somiglianza fra Broch e il Borgese dei primi anni Venti.
Esilio e anti-fascista
Nel 1928 per il Borgese in qualità di professore cominciano i problemi con i fascisti che in quel momento hanno già messo sotto il loro controllo il settore universitario. Il rettorato del Politecnico di Milano stila un dossier “riservato per il duce” contro il “rinunciatario” e “disertore” professore Borgese. Questo rettorato fascista è lo stesso che attua nel 1938 le “leggi razziali” contro i docenti di “razza ebraica”. È l’ennesima storia dell’arrendersi del settore accademico e della cultura di fronte al fascismo e al nazismo e ad altri “-ismi”. [E l’aspetto più deludente è il fatto che questo fallimento quasi totale è stato nascosto e coperto dopo la guerra, e che questo passato è stato affrontato solo con decenni di ritardo, se non del tutto.]
Anche in Germania ci sono voluti decenni prima che il comportamento delle élite, delle istituzioni “contaminate”, dei seguaci e carrieristi nella amministrazione, nella giustizia e nella medicina, nell’accademia e cultura è stato svelato e discusso. A chi è particolarmente interessato al problema dell’accademica nazista si può consigliare il libro appena uscito di Michael Grüttner: Talar und Hakenkreuz [Toga e Svastica] 2024 München, CH Beck]. Borgese, adesso ogni giorno più minacciato e aggredito, accetta un invito per insegnare negli Stati Uniti. Nel 1931 insegna in America (all’University of California Los Angeles) alle dipendenze del Ministero degli Esteri. Quando nel 1931 il governo fascista impone il giuramento di fedeltà ai professori universitari (e soltanto 13 su circa 1250 rifiutano!), Borgese non firma il giuramento (presentato a lui nel 1933) e non torna in Italia. Borgese, adesso cinquantenne, comincia una nuova vita in America. Scrive due lettere a Mussolini (1933 e 1934) spiegando la sua decisione, e così diventa “nemico pubblico”. Quando scade il suo incarico americano Borgese viene dichiarato “dimissionario”, così perdendo la cattedra milanese e il diritto alla pensione. Da 1932 a 1936 insegna al Smith College Northampton, Massachusetts, e dopo, fino al 1948, all’University of Chicago.
Per rendersi conto della situazione più generale degli esuli italiani diamo un’occhiata a Renzo De Felice. De Felice [1929-1996] senza dubbio è stato uno dei più importanti storici che si sono occupati di storia del fascismo. Nel libro “Breve storia del fascismo” il quale presenta al lettore il testo di una serie di interviste con De Felice, un breve capitolo è dedicato a “L’antifascismo e gli esuli”. De Felice enfatizza che l’antifascismo interno all’inizio del Ventennio era tutt’altro che unitario e uniforme, situazione che si ripete anche nell’esilio. La emigrazione antifascista sin dal 1922 presenta diverse forme per quanto riguarda il momento dell’esilio, le motivazioni e la personalità dei protagonisti. Nel testo di De Felice le “forze politiche”, i politici in esilio, occupano il centro del palco. E così non c’è da meravigliarsi che si cerchi invano il nome di Borgese. Nell’esilio solo esponenti della sinistra (senza i comunisti) tentano di iniziare una riorganizzazione dei partiti antifascisti all’estero, mentre esponenti di orientamento politico diverso non sono coinvolti. Questi tentativi risultavano in strutture poco stabili che non sono state di grande successo. Solo nel 1934 con l’accordo di unità fra comunisti e socialisti prende forma una nuova fase dell’antifascismo.
“Goliath: The March of Fascism”
Nel 1937 Borgese pubblica la sua ampia analisi del fascismo italiano: “Goliath: The March of Fascism”. Questa edizione è stata pubblicata in lingua italiana nel 1946. Qui un breve paragrafo di questo libro per dimostrare in che spirito e con quale quadro storico in mente il libro è stato scritto. Nella terza parte, “Inizio dell’età nera” scrive:
Ma oggigiorno vi sono tre modi di considerare la storia, ognuno dei quali sembra ignorare gli altri due. Il primo è quello dello storico di professione, influenzato dalla teoria del tardo romanticismo, specialmente tedesco, che pensa in termini di movimenti di masse e di conflitti economici; gli individui sono per lui delle marionette, i cui fili sono tirati da mani anonime. Il secondo, quello dei biografi – ne sono fioriti a centinaia in questo ultimo ventennio – imitano, per lo più incoscientemente, Plutarco o Cornelio Nepote: per essi l’individuo è tutto e l’ambiente è uno sfondo neutro simile a un tendaggio grigio sul quale il protagonista o il solista esibisce le sue abilità. Nelle biografie spesso Freud o Jung prendono il posto che nella storia hanno Hegel e Marx: sensualità, emotività, libidine, repressione fanno ciò che altrove è fatto dalla dialettica delle idee o dalla lotta di classe. Il lettore che conosca queste due specie di libri si trova a non saper più che cosa pensare. Forse trova un certo equilibrio nella lettura di una terza specie di libri, i romanzi. Il romanziere, se è un buon romanziere, sa dosare determinismo e libertà, ambiente e personalità, lotta economica e necessità fisiche e morali. Nessuno storico moderno ha raggiunto quella visione completa che troviamo in Balzac, o Tolstoj e, alla luce di questi confronti, sembra un giudizio comune la misteriosa frase di Aristotele, secondo la quale il romanzo è più filosofico – addirittura possiamo dire più storico – della storia stessa. (Golia, 2022, p. 235)
Francesco Merlo, nella sua infuriata introduzione del “Golia” (2022) scrive:
Non giurò e fu licenziato. Annotò Mussolini: “Gli si poteva perdonare il passato. Non l’oggi. Continua ad essere un nemico.” E infatti non c’è, nella storia della cultura italiana, un antifascismo, certificato da Mussolini, più limpido e più raro: “Aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abbietto o malvagio.” Eppure, Borgese, proprio da morto, fu rimosso dall’antifascismo. Peggio che esiliato, fu cancellato. Ecco la sintesi di Sciascia: “Molti imbecilli lo giudicarono e forse ancora, senza conoscerlo, continuano a giudicarlo.”
Ebbene, c’è in questo piccolo-grande dettaglio della delazione oscurata, come in un frattale, il silenzio come destino di Borgese, che non era detestato solo dai Golia fascisti, ma anche dall’Accademia italiana con la coda di paglia, dalla critica marxista e dall’acidissima sentenza di Benedetto Croce che agì come una fattura, una fatwā laica: “Quel libro è un eretismo di patologica esaltazione di se medesimo con correlativo discredito gettato su tutti gli italiani, sul loro carattere, sull’Italia stessa e la sua storia.”
È ovvio che per Borgese né la linea teorica di “movimenti di masse e questioni di ordine economico” (i.e. Hegel e Marx, il Weltgeist e la lotta di classe) né quella del “grande protagonista storico” sono validi strumenti per spiegare il fenomeno “fascismo”. Infatti alla base del “Golia” troviamo il suo rifiuto di assumere una causa, una spiegazione necessaria del fascismo. Per Borgese il fascismo è un’anomalia, un irrazionalismo di origine più oscura. Queste sue opinioni gli avevano e hanno fatto molti nemici, anche oggi. La loro visione che la storia segue un camino logico, determinato, orientato verso il futuro in modo teleologico e progressista si mantiene in vita ostinatamente. Preferirei il filosofo tedesco Theodor Lessing [1872-1933; una delle prime persone assassinate dai nazisti] e il suo libro “Geschichte als Sinngebung des Sinnlosen” [1919] [La storia – come dare senso all’insensato]. Contemplare la Storia, anche dei nostri giorni, l’idea che dietro le quinte c’è una legge in vigore, una logica è umoristica se non cinica.
Secondo Borgese le origini del fascismo si trovano più fra gli aspetti culturali che in quello economico e politico. Il precursore di “Golia” è stato infatti il suo saggio “The Intellectual Origins of Facism”, pubblicato già nel maggio 1934 nella rivista Social Research (in Italia pubblicato per la prima volta nel 2010) dove Borgese si chiede “Perché il fascismo nacque prima in Italia?” Quando “Golia” esce nel 1937, fascismo e nazionalsocialismo hanno già trovato ampia diffusione in Europa. Gli anni 1938/9 ancora ante portas, Borgese nel “Golia” non lascia nessun dubbio che la guerra in Europa e nel mondo sta per arrivare.
Contro il Golia del fascismo non esiste un Davide. Borgese invece si rivolge al popolo italiano:
“… capire bene, nelle profonde oscurità della loro schiavitù, quali sono quegli elementi intellettuali e passionali della loro patria che possono spiegare i falli del passato e la calamità del presente. […] Se gli Italiani si decidessero a svegliarsi vedrebbero che giorno è fatto. Se essi si radunassero sulle piazze e, invece di urlare ‘Duce! Duce!’ pronunziassero la ben nota parola, per loro veramente imperiale ‘Basta! Basta!’ l’incubo svanirebbe; perché il fascismo, con tutti i suoi orrori, è il vuoto e il nulla, e ha la stessa consistenza degli incubi.” (Golia, 2022, p. 606)
Nel 1945 la triste realtà invece sarà quella, che la guerra nazi-fascista prima deve essere persa e che il cambio del corso della storia accade soltanto dopo l’arrivo delle forze esterne, e dopo immani sofferenze e distruzioni. Ma questo il suo libro del 1937 naturalmente non poteva prevederlo.
La pubblicazione del “Golia” per l’autore rappresenta il primo importante passo verso una esistenza come “public intellectual”, ruolo molto simile a quello di Thomas Mann. Nel 1938 Borgese diventa cittadino americano e nel 1939 sposa in seconde nozze Elisabeth Mann, la figlia di Thomas Mann, una scelta matrimoniale decisamente perseguita da lei. Testimone di nozze è Hermann Broch. Elisabeth, ardente anti-fascista ammira l’intellettuale Borgese e specialmente il suo libro “Golia”. In questa sorprendente relazione fra due esuli prende forma una costellazione che Francesca da Rimini nella Divina Commedia pronunciò nelle parole della famosa riga “Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”.
Leonardo Sciascia che per tutta la sua vita ha stimato Borgese come uomo e autore esemplare, come uno dei più importanti protagonisti della cultura italiana del primo novecento, giudica “Golia” “uno dei [libri] più grandi, veridici e appassionati che siano stati scritti sul fascismo [L. Sciascia, Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari 1955-89. Milano 2016].
Gli sforzi del Borgese come editore e traduttore per la collana “Biblioteca Romantica” della Mondadori negli anni Trenta sono espressione del carattere di un lettore serissimo e esigente. Il canone della letteratura italiana (Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni) per Borgese è stato sempre punto di riferimento come abbiamo già notato a proposito del protagonista Eliseo Gaddi nel suo romanzo “I vivi e i morti. [E non per caso Borgese finisce il suo libro “Golia” con un appello agli Italiani di abbracciare proprio questa tradizione.] Scrivere per Borgese è una forma dell’esistere. E nel 1911 scrive dei lettori d’eccezione “… quei lettori che non considerano la lettura come un ozioso giro di carosello, alla fine del quale, dopo qualche tinnito di musiche triviali, ci si ritrova al medesimo punto, e non disdegnano la fatica, purché all’ultima pagina del libro se n’abbia la ricompensa nella contemplazione di un orizzonte più vasto”, diversi dai nostri coetanei lettori che “per tenerci al corrente leggono cosucce e cosacce” e si abbandonano “a un duro e cieco realismo, il cui unico insegnamento consiste nella necessità di vivere strenuamente la vita, così come si presenta giorno per giorno, senza curarsi né poco né molto né del domani né dell’al di là né del genere umano: una specie di eroico e sconsolato egoismo” [Borgese, La vita e il libro. 1910-13]. “Ogni atto, ogni parola scritta o pensata […] dev’essere significativa, deve avere valore universale, sacerdotale” [ottobre 30, 1929 in Diario americano I. 2018, Firenze, Gonnelli].
Utopie e Il ritorno in Italia 1949
Nel 1948 la famiglia Borgese ritorna in Italia e nel 1949 Giuseppe Antonio Borgese assume la sua vecchia cattedra di Estetica all’Università di Milano.
Già prima della fine della Seconda guerra mondiale egli, qualche volta insieme con altri autori (p.e. Thomas Mann), ha scritto e partecipato ad alcuni manifesti di natura utopistica. La creazione di un “nuovo ordine mondiale” in pace fu il tema di “The City of Man 1940, Common Cause 1943, Preliminary Draft of a World Constitution 1948, De Repubblica Universali 1951. Purtroppo Borgese ha già vissuto abbastanza da vedere il crollo di tutte le utopie. Non ha avuto illusioni anche sulla natura del capitalismo ma senza cadere nella trappola di coloro che allo stesso momento hanno adorato Stalin.
Tornare dopo diciotto anni di esilio non è facile. Ci sono coloro che hanno giurato fedeltà, forse con la coscienza sporca, e non hanno lasciato il paese. E ci sono coloro che erano e sono rimasti avversari politici. Per il suocero di Borgese, Thomas Mann, Premio Nobel, figura di spicco della letteratura tedesca e della resistenza intellettuale tedesca dell’esilio, tornare in Germania non è stato mai una opzione. Mann è stato in esilio per quasi vent’anni (1933-1940-1952 in Svizzera e America). Thomas Mann era convinto che la storia della Germania non finisce e che forse un nuovo governo mondiale, una nuova Lega delle Nazioni fosse possibile, ma era anche convinto che il suo tempo fosse passato. Con le parole di Thomas Wolfe, “You can’t go home again.”
Ho tradotto qui una lettera del 1945 dove Thomas Mann scrive all’autore tedesco Walter von Molo, spiegando perché non ritorna:
“Ma si può semplicemente cancellare dalla lavagna questi dodici anni [del nazismo] e i loro risultati e fingere che questi non siano stati mai? [ ] Io mai dimentico l’accanimento analfabetico e micidiale della radio e della stampa [ ] che mi ha fatto capire che un ritorno non è più possibile. [ ] La Germania mi è diventata proprio estranea in quest’anni. È un paese, lei deve ammetterlo, terrificante. [ ] Non era permesso, non era possibile, fare “cultura” nella Germania quando nello stesso momento intorno a voi è accaduto ciò che sappiamo. Sarebbe come sorvolare la depravazione, abbellire il crimine. [ ] Mi dicevo, lì avresti senza dubbio tanti buoni e fedeli amici, vecchi e giovani; ma anche tanti nemici in agguato – nemici sconfitti si, ma loro sono i peggiori e i più velenosi.”
Infatti Nicolas Bonnet descrive la situazione del Borgese dopo il suo ritorno alla cattedra milanese in questi termini:
“Borgese gode di un’indubbia notorietà ma si trova relativamente isolato in un microcosmo accademico diviso tra i crociani che non lo possono soffrire e gli ex gentiliani convertiti in massa al marxismo. Quanto agli intellettuali cattolici, stentano a riconoscersi nel millenarismo sui generis che professa questo eretico.
Si può assumere che Borgese e Mann fra di loro hanno condiviso tante di queste considerazioni. Ma Borgese decide di tornare nel 1948. Così gli è stato risparmiato il trattamento spregevole e umiliante che Thomas Mann ha dovuto subire da parte dei fedeli di McCarthy prima di lasciare gli Stati Uniti.
Borgese morì a Fiesole nel 1952.
Abbiamo discusso i meccanismi che sin dal 1930 erano al lavoro per far dimenticare il ricordo di Borgese. Resta da vedere se il suo personaggio si lascia di nuovo reintegrare e riaffermare nella coscienza culturale italiana.
Epilogo
Per rendersene conto, basterebbe confrontare i libri degli ultimi venti anni con quelli apparsi nei primi venti anni del Novecento. Confronto che risulterebbe schiacciante, in sfavore del presente.
Roberto Calasso, Come ordinare una libreria [2019]
Con questo saggio su Giuseppe Antonio Borgese continuo a dare testimonianza di alcuni personaggi e delle loro relazioni nel mondo letterario del primo novecento, periodo che è senza paragone per la sua ricchezza di libri di importanza durevole. Durante gli anni seguenti il sanguinoso e micidiale centennio non ha avuto il tempo di gestire questo tesoro. Il secondo dopoguerra avrebbe avuto innanzitutto il compito di riflettere sulle perdite subite, di leggere i libri non letti, di ricuperare il pensiero mai pensato, per costruire proprio il suo contributo culturale e intellettuale in un mondo di strutture e personaggi sconfessati e screditati. Ma questo non è avvenuto. Ciò che sono seguiti sono stati la guerra fredda, il consumo e la crescita. Del ventunesimo secolo ancora non abbiamo niente da registrare.
Fonti utilizzate
Ester Saletto: Hermann Broch und Antonio Giuseppe Borgese: Dichtung und Engagement,
da “Hermann Brochs literarische Freundschaften”. A cura di Kiss, Lützeler, Rácz. 2008 Stauffenberg Verlag Tübingen p 229-243
Giuseppe Antonio Borgese: Romanzi e Racconti. A cura di Gandolfo Librizzi. (Con prefazione di Salvatore Ferlita.) 2023, La nave di Teseo.
Giuseppe Antonio Borgese: Golia. La marcia del fascismo. Introduzione di Francesco Merlo, postfazione di Gandolfo Librizzi. 2022, La nave di Teseo
Giuseppe Antonio Borgese: I vivi e i morti. Con introduzione di Gandolfo Librizzi. 2018 il Palindromo
Le introduzioni di Librizzi sono di grande valore per il lettore.
Maurizio Capone, tesi Università degli Studi di Macerata a.a. 2018/19: Giuseppe Antonio Borgese, Rubè e il modernismo.
Storia Generale della Letteratura Italiana. A cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà. 2004 Motta Editore. Opera di grande valore senza il gergo della critica letteraria. Informazione dettagliata sulla posizione intellettuale del Borgese nel periodo fra le due guerre.
Ulteriori informazioni sulla vita e le opere di Borgese sul sito https://www.fondazioneborgese.it (Qui si trova anche un documentario di Gandolfo Librizzi sulla vita di Borgese. Librizzi è l’editore delle opere di Borgese e attuale sindaco di Polizzi Generosa.)
Thomas Mann. Große kommentierte Frankfurter Ausgabe, Band 19.1: Essays VI (1945-1950).
G.A.Borgese: “Il breviario del romanticismo”. Da “La vita e il libro. Seconda Serie con un epilogo.” Torino Fratelli Bocca, Editori, Milano – Roma 1911 [Sulla traduzione italiana del romanzo di Thomas Carlyle: Sartor Resartus 1833]
Nicolas Bonnet, storico presso l’Università di Bourgogne in Francia, ha pubblicato un interessante compilazione [ https://doi.org/10.4000/laboratoireitalien.650 ] con il titolo “Le ultime cause perse di Giuseppe Antonio Borgese” nella quale presenta una dettagliata lista delle attività del Borgese nel contesto degli eventi dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia nel luglio/agosto 1943 e il 9 settembre 1943 fine al 1949, anno del suo ritorno in Italia.
“Giuseppe Antonio Borgese e il Corriere della Sera 1914-1921”. A cura di Andrea Moroni. La Fondazione Corriere della Sera 2022, Milano
Renzo De Felice: Breve storia del fascismo., Mondadori 2001, Milano