Un libro tra le mani

“Mare aperto” di Caleb Azumah Nelson , recensione: Un libro tra le mani.

MARE APERTO di Caleb Azumah Nelson è un libro intenso, poetico e struggente. Un libro pieno di amore e di paura.

La paura di non essere visti per quello che si è, la paura di vedersi annullare la propria identità e di rientrare in un identikit, la paura di dover sempre dimostrare cosa si ha nelle tasche (anche quando quello che contengono è solo dolore), la paura di ritrovarsi faccia a terra con un ginocchio sulla schiena a gridare “non ho fatto niente“, ma sempre inascoltato e colpevole comunque, per il solo fatto di essere nero in una società che non è stata pensata per te, che non ti vede.

“Un conto è essere guardati, un altro è essere visti.”

Mare aperto

Una società che ti obbliga a chiedere il permesso anche per respirare.
Finisci per sentirti piccolo e rotto, solo per paura che qualcun altro possa rimpicciolirti, che qualcun altro possa romperti.
Essere nero vuol dire dover chiedere scusa.
Vuol dire custodire in profondità le cicatrici per tutti i fratelli ammazzati in strada, per tutte le volte in cui sei stato seguito e fermato dalla polizia, per gli sguardi torvi e spesso pieni di paura.
Vittima di un pregiudizio che lentamente ti uccide.

“Stai cercando di dire che per te è più facile nasconderti nella tua oscurità, piuttosto che emergerne ammantato della tua vulnerabilità.
Non è meglio, ma è più facile.
Però, più a lungo ti tieni tutto dentro, più è probabile che tu finisca per soffocare.
A un certo punto dovrai respirare.”

E allora dove sentirsi più al sicuro se non all’interno di una storia d’amore con chi è capace di vederti, di ascoltarti per ciò che tu sei veramente?
Trovare te stesso negli occhi di lei, occhi che sanno, che capiscono, che accolgono.
Sentirti a casa.
Eppure non basta.
Perché amarla significherebbe nuotare con lei in questo mare aperto e farla annegare insieme a te.
Non è sempre facile offrire la propria vulnerabilità, chiedere aiuto, mostrare il proprio dolore, dolore che è diventato stanchezza.
Ed ecco che si forma una crepa, un abisso, e ci si perde.

Mare aperto

“Nascondi tutto te stesso perché a volte dimentichi che non hai fatto niente di male. A volte ti dimentichi che non hai niente in tasca. A volte ti dimentichi che essere te stesso equivale a non essere visto né ascoltato. A volte dimentichi che essere te stesso è essere un corpo Nero, e non molto altro”.

Una storia d’amore e di disperazione.
Una storia d’amore in una società sopraffatta dalla violenza e dal razzismo.

“Mare aperto” è un libro pieno di cultura black, di canzoni (che io non conosco), di riferimenti letterari (James Baldwin, Zadie Smith), cinematografici, di cronaca nera.

La prosa di Caleb Azumah Nelson è come un rap, un sound ritmato e sensuale, dolente.
Molto contemporaneo nei contenuti, molto lirico nella forma.
La scelta della seconda persona singolare è una scelta che inizialmente mi spiazza, mi confonde, ma poi riesce a darmi quella prospettiva capace di inquadrare le cose sia dall’interno che dall’esterno, come se ci fosse un vetro tra l’intimo e il sociale.
Quel “tu” crea una distanza che in realtà non c’è, e fa percepire il tutto in modo amplificato, doppio: da dentro e da fuori.

È un romanzo lento, per certi versi frammentato, a cui non interessa legare il lettore a una storia, ma alla Storia.
Una lettura contemplativa, che va metabolizzata piano, parola per parola, per provare a capire quello che noi, bianchi che viviamo in una società di bianchi, non capiremo mai.

 

“Mare aperto” di Caleb Azumah Nelson, Atlantide edizioni. Un libro tra le mani.

 

Antonella Russi

Nata a Taranto, classe '76. Lettrice per passione, da sempre.

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