Victoria Mas con “Il ballo delle pazze” sfiora temi delicati in un periodo storico particolarmente complesso. Nonostante il romanzo, a mio avviso, risulti un po’ banale, e probabilmente troppo superficiale, si è trattata di una lettura piuttosto piacevole e sicuramente molto scorrevole, che, però, mi ha coinvolta solo in parte.
Siamo alla fine del 1800 a Parigi e mentre gli uomini si adeguano alle numerose regole che la borghesiaVictoria Mas (2022, G.Garitan, CC BY-SA 4.0, Wikimedia Commons)impone, nel reparto delle isteriche si conduce una estenuante e muta battaglia quotidiana per la “normalità”.
Donne che non sono più donne. Malate, instabili, disumanizzate, isteriche, alienate: pazze. Da legare, da studiare, da ipnotizzare, da illudere, da temere a volte, ma non certo da comprendere. E ad essere etichettate come folli non ci vuole poi molto, se non la voglia di parlare, di ridere, di non piegarsi alle consuetudini, di uscire fuori dai ruoli prescritti dalle convenzioni, di scoprirsi libere e non ridotte a semplici compagnie per mariti benestanti.
Un luogo privo di orologi, in cui il tempo resta sospeso, e il suo interminabile avanzare, solleva angosce e dolorosi rimpianti, questo è l’ospedale Salpêtrière. La perfetta soluzione per nascondere realtà scomode, donne che è meglio isolare affinché un cognome non cada nella vergogna. Le alte mura, poi, permetteranno di dimenticarne l’esistenza. “I sogni sono pericolosi, Louise, soprattutto quando dipendono da qualcun altro.”
Equipe di neurologia dell’ospedale Salpêtrière (2023, Felipe Akerman, CC BY-SA 4.0, Wikimedia Commons)Un’orfana stuprata, una prostituta, una ragazza tradita, una madre che ha perso il suo bambino, ecco ciò che offre il nutrito gruppo di ospiti del più importante ospedale psichiatrico di Parigi. “Un deposito per tutte quelle che disturbano l’ordine costituito, un manicomio per tutte quelle la cui sensibilità non corrisponde alle aspettative, una prigione per donne colpevoli di avere un’opinione.”
Come ho detto, si tratta di un romanzo di agile lettura, non impegnativo, dal quale non c’è da aspettarsi grande ricerca stilistica o profondità nei temi affrontati, ma viste le ottime premesse, mi sarei aspettata qualcosa di più.
A metà strada tra il manicomio e la prigione, alla Salpêtrière finivano le persone che Parigi non sapeva gestire, cioè i malati e le donne.
Classe 1987. Nata a Napoli, tra i vicoli e l'odore del ragù lasciato a "pappuliare" a fuoco lento già dall'alba. Amante dei libri da sempre, della buona cucina e delle mete insolite. Dipendente dal caffè, dalle risate spontanee e da quella punta di follia che rende la vita imprevedibile. Fiera sostenitrice del potere delle parole e dei sussurri nascosti tra le righe, quelli che lasciano un'impronta nella memoria e i brividi sulla pelle.
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