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“Un grido dall’ignoto“ di A.J. Ryan: l’amnesia non basta

Sapete come si chiama la narrativa di genere quando è buona? Narrativa.
Non so voi, ma l’etichetta “di genere“ non mi fa pensare a qualcosa di buono. È un perimetro intorno a uno spazio che si riferisce al suo interno. Le associazioni – tutte – se restano chiuse, prima o poi diventano un problema. Si trasformano in una sorta di laboratorio dove verificare i propri bias e svilire ciò che non lo conferma. I gruppi chiusi creano un pensiero, un linguaggio, e un codice comune.

Per questo motivo, i generi non solo delineano l’aspettativa del tema, ma anche – purtroppo – dello stile, e spesso anche delle ambizioni. Sfido a dirmi che “L’esorcista“, o “Profondo Rosso“, e i primi due “The Conjuring“ (ma anche molti altri), non sono dei grandissimi film. Grandi film, non grandi horror. Quando una storia di genere ha l’ambizione di eccellere, l’etichetta forse non la perde del tutto, ma comunque diventa ininfluente. “Harry ti presento Sally“ è una commedia romantica?

Trova una penna – trova una penna – trova una penna

“Un grido dall'ignoto“ di A.J. Ryan - Recensione libro
Un grido dall’ignoto – Copertina

Un grido dall’ignoto“ parte con un incipit decisamente accattivante. Una persona si sveglia da un sonno innaturale quando esplode un colpo. Seguendo la fonte dello sparo si rende conto di trovarsi in una nave, e quando finalmente arriva al ponte trova un corpo fresco fresco di suicidio. Nota una cicatrice chirurgica sulla testa del cadavere. Istintivamente si porta la mano alla tempia, e scopre di averla anche lui. Deve essere per questo motivo che non ricorda niente di sé. Sul braccio ha tatuato il nome Huxley, su quello del cadavere c’è il nome Conrad. Poi arrivano altre sei persone. Tutte con la stessa cicatrice, tutte senza memoria, tutte con un nome tatuato sul braccio. Non male, eh?

Il tema dell’amnesia è sempre affasciante, probabilmente perché ci permette di indagare sull’animo delle persone. Cosa diventiamo, quando siamo una pagina vuota? C’è ancora qualcosa del noi che eravamo?

Ben presto i nostri scoprono di avere un compito, di essere lì per un motivo. Prima perché intuiscono di essere tutti esperti di qualcosa. Tra di loro forse c’è un investigatore, forse un biologo, forse un soldato, forse un medico. Poi perché capiscono che la nave (su cui non hanno controllo) è equipaggiata di tutto punto. Nelle cabine dove si sono svegliati hanno trovato delle armi. Poi hanno trovato un siero nominale da inocularsi. Altri armi pesanti sono posizionate sui ponti. È evidente che c’è uno scopo in tutto questo.

«Non esistono dettagli minori. Cos’ha detto?»
«Qualcosa che si era ricordata di aver visto durante un viaggio a nord del circolo polare artico, credeva.»
«Sii più specifico.»
«L’aurora boreale. Ha detto che credeva di essere con qualcuno che l’aveva vista, qualcuno di importante per lei.» Una brave pausa, un altro clic distante sulla linea.
«Adesso è con te?»
«No, qui c’è Pynchon. Dickinson e gli altri sono sulla nave.»
«Per garantire la vostra sopravvivenza è imperativo che obbediate alle seguenti istruzioni: prendete questo telefono e tornate sulla nave. Uccidete Dickinson.»

Allora, a che punto ero?

Poi, poi, quello che prende piede appunto è un romanzo di genere. L’ennesima storia con delle creature infette, che un po’ sono zombi, un po’ sono funghi, ma del tutto sono affamate di sangue. L’avventura si svolge in Inghilterra, dopo che l’infezione ha coperto di una nebbia rossastra le coste e le città. La missione è dettata da una voce mono espressiva che arriva dal telefono nella sala di comando, e che squilla di tanto in tanto. Dalla voce niente risposte, niente spiegazioni, solo istruzioni.

Nella durata dell’arco narrativo si prova a dare spazio a tutti i personaggi a creare un background per ognuno, a caratterizzarli dovutamente, ma gli sforzi non bastano a risollevare il romanzo da una pigra e distratta. Il tema dell’amnesia cerca di tenere alta l’attenzione. La procedura che hanno subito è una tutela o un trappola? Ce ne sono stati altri prima di loro?

Mano a mano che la nave si fa largo tra i detriti e gli infatti, si fa persino fatica a seguire le scene di azione che mi sono immaginato come nel film di Predator. In effetti da un certo punto in poi è proprio aria da film che si respira, quei “bei“ film di azione anni settanta/ottanta farciti di battute di basso profilo e i calchi nostrani. «Ti sei bevuto il cervello» me lo sarei risparmiato volentieri. Arrivati alla fine non ci viene risparmiata nemmeno la moralina trita e ritrita che è alla base di ogni film con disastro chimico/tecnologico. È un peccato che la storia inizi con tante buone premesse per finire esattamente come centinaia di altre storie che vi siete già dimenticati.

“Un grido dall’ignoto” di A.J. Ryan, Fanucci Editore, 2025. Malditesto.

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