Ogni volta che arrivo alla fine di un romanzo di Steinbeck e sfoglio l’ultima pagina mi rimane sempre addosso una grande malinconia. Perché so già quanto faticherò a ritrovare in altri libri quella naturale sensazione di vicinanza alle vicende del popolo e degli emarginati, quel protagonismo che l’autore californiano riconosce agli antieroi della storia statunitense senza scadere nel patetico o nel pietismo.
Una formula vincente, perché quando non si hanno risorse bisogna affinare l’intelletto per risolvere le questioni: la scaltrezza, infatti, è la principale virtù di Mack e compagni, lo stesso gruppo di svitati che abbiamo conosciuto leggendo Vicolo Cannery. Con Quel fantastico giovedì torniamo esattamente a Monterey, California, lì dove avevamo conosciuto gli straordinari personaggi che popolano il Palace Flophouse e la cittadina californiana della metà del ‘900.
Sono passati alcuni anni dal romanzo Vicolo Cannery (Quel fantastico giovedì è il sequel), in mezzo c’è stata una guerra che ha cambiato tante cose. A partire dall’umore di Doc, rientrato dal campo di battaglia decisamente più scuro in volto. E se in Vicolo Cannery il progetto di Mack e compagni era quello di festeggiare il compleanno del biologo, questa volta li troviamo alle prese con un compito più difficile: risollevare il morale del migliore amico di tutti, Doc, un vero e proprio pilastro attorno a cui ruota la vita sociale di Monterey. Ma questa volta c’è anche una novita: l’entrata in scena di Suzy, giovanotta frizzante che porterà una ventata di freschezza col suo caratterino irriverente e propositivo.
Quel fantastico giovedì è un altro piccolo capolavoro di Steinbeck, un romanzo in cui lo spirito di fratellanza della comunità di Monterey continua a essere contagioso e che come sempre, quando arriva il momento di congedarsi dalla meravigliosa e marginale comunità californiana, lascia addosso un dolce sentimento di affetto e nostalgia.
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“Quel fantastico giovedì” di John Steinbeck, edizioni Bompiani. Libri in Pillole.