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“Il piccolo amico” di Donna Tartt: come inganna una quarta di copertina

“Il piccolo amico” di Donna Tartt mi ha permesso di chiudere il cerchio e finire la bibliografia dell’autrice americana. Avendo amato “Dio di illusioni” e “Il cardellino”, do la colpa della difficile relazione con questo terzo titolo a una quarta di copertina ingannevole, perché io, di Tartt leggerei anche la lista della spesa, quindi non mi capacito del perché sia stato difficile arrivare alla fine de “Il piccolo amico”.

Il libro si apre con un omicidio: un bambino di nove anni viene impiccato a un albero, ma nessuno sa chi sia stato. In giardino con lui c’erano solo la sorellina di quattro anni, che dice di non aver visto niente, e Harriet, di pochi mesi.

Dodici anni dopo, il mistero insoluto si insinua nella mente di quest’ultima che, insieme all’amico Hely, si mette in testa di trovare l’assassino. Le basta un nome, senza nessuna prova, per emettere una sentenza di colpevolezza e per inventare piani folli per fare giustizia.

Questa la trama, ma serve un alert grande grande che dica: “Il piccolo amico” non è un giallo, e neanche un thriller. Non che “Dio di illusioni” o “Il cardellino” lo siano, ma qui, nelle prime pagine, la componente di mistero è molto più densa (o forse la si percepisce così dopo aver letto l’ingannevole quarta di copertina) salvo poi dissolversi a mano a mano che la lettura procede, svelando quello che era il vero intento di Tartt (come lei stessa ha dichiarato in un’intervista a RivistaStudio): mettere su carta l’infanzia in Mississipi, analizzare quel modo di crescere, libero e selvaggio, il feroce razzismo di alcuni, la malavita che corre parallela a quella di chi prova a darsi una parvenza di accettabilità, la fede che può diventare fanatismo, le paludi piene di serpenti velenosi… C’è tutto questo ne “Il piccolo amico”, ed è un quadro dipinto a tratti nitidissimi, nelle sue incongruenze e unicità, perché il dono di Tartt è quello di fare letteratura costruendoti davanti un mondo, più che una storia. Ma se la Las Vegas squallida e allucinata de “Il cadellino” era presentata come coprotagonista in uno dei capitoli della vita di Theo, qui il Mississipi ruba la scena a Harriet e Hely e la storia torna a farsi sentire sul finale, quando davvero ti immergi nella lettura e finisci il libro in un fiato, chiedendoti se aveva poi tanto senso lamentarsene solo qualche manciata di capitoli prima.

Forse, a inceppare il meccanismo, è la difficoltà di scrivere di quel che si sa fin troppo bene: Tartt è nata in Mississipi e il suo ritratto potrebbe essere così fittamente dettagliato perché quel mondo è parte di lei, e allora una bambina senza paura e il suo amico che prova a fare lo spaccone possono facilmente scivolare sullo sfondo, annebbiati dalla potenza dei ricordi.

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“Il piccolo amico” di Donna Tartt, Rizzoli

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