Biro & Taccuino

La razza spiegata dall’unica persona nera nella stanza

Nadeesha Uyangoda, l’autrice di “L’unica persona nera nella stanza”, è una giornalista e la sua avventura letteraria parte da un articolo apparso su Not con il titolo replicato poi nella pubblicazione del libro, edito da 66thand2nd. Paradossalmente racchiudere in poche righe la densità di questo libro non è semplice. Si legge tutto d’un fiato, sorprende per la sua capacità di affrontare più di un tema senza cadere in banalità, stereotipi, senza essere mai pesante.

In 162 pagine la scrittrice racconta la sua vita, dice tutto di sé e della sua storia, rendendosi protagonista della possibilità di analizzare un fenomeno a tutto tondo. Partendo dalla sua storia d’amore con una persona bianca, passando per la storia della sua famiglia e dalla cultura del suo popolo, arrivando a descrivere alla perfezione come vive oggi in Italia una persona non italiana, Nadeesha analizza ogni aspetto della società e della nostra cultura che attraversano la sua vita e quella di tutti noi. Nadeesha in definitiva ci dice cosa significhi essere l’unica persona nera nella stanza; parla dei neri ma anche dei bianchi, degli Sri Lankesi e degli italiani, parla di colore e comunicazione, di femminismo e di attivismo, di politica e di possibilità.

“Questo libro e quell’articolo sono nati dalle esperienze che ho raccolto quando ho smesso di fuggire dalla razza”, scrive Nadeesha alla fine del primo capitolo, fornendoci già chiaramente il filo conduttore di un testo che è racconto di vita ma anche inchiesta giornalistica ben fatta.

“Sarò sempre una di quelle persone che non riesce a restare impassibile davanti al razzismo quotidiano che subisce la gente di colore, sarò sempre una persona che sentirà l’esigenza di intervenire, anche quando farsi avanti significa uscire dalla propria comfort zone di anonimità e riservatezza. L’impulso di pormi come un muro tra chi perpetra e chi subisce, in uno scambio che è sempre impari perché avviene tra un nero e un bianco, fa parte del mio carattere. Ma il mio, e il vostro, potere di cambiare questo tipo di dinamiche è molto, molto limitato. […] Il pericolo, cioè, è quello di creare casi di razzismo scollegati tra loro, o perché manca l’elaborazione di una critica condivisa o perché le campagne di indignazione di massa a lungo andare ci anestetizzano al problema.”

La capacità di questo libro è forse tutta nello svegliarci dall’anestetizzazione che, mentre sappiamo di non essere razzisti, non ci fa rendere conto di molti aspetti che, consapevolmente o meno, trascuriamo. Nadeesha Uyangoda ne L’unica persona nera nella stanza è in grado di porci di fronte ad un’analisi lucida di cosa sia il razzismo, di cosa sia la percezione della razza nella nostra cultura ma anche in quella straniera, di cosa significhi realmente fare attivismo. Quel che colpisce è, poi, la assoluta non condanna del non attivismo, la capacità di portare la riflessione oltre lo stereotipo e anzi da questo partire per spiegare quello di cui non si parla mai.

“Non sentitevi in colpa o in obbligo,” – dice Nadeesha – “nessuno dovrebbe sentirsi costretto a fare attivismo perché italiano o nero, esserlo è già faticoso.”

L’Italia, da questo testo, viene fuori come il paese che purtroppo ancora è. Troppo spesso incapace di riconoscere i suoi limiti, non li supera quando cerca di raccontarsi come inclusivo. “In Italia, quelle poche volte in cui vediamo delle persone di colore nei media, possiamo essere certi che la loro presenza è dovuta al tema che verrà trattato in quello studio televisivo.” La forza di questo testo è, tuttavia, nel non essere affatto semplice denuncia. Nadeesha dice che “la responsabilità delle risposte è di tutti”, rendendo chiaro come il suo sia un messaggio di apertura più che di critica. Non c’è, ne L’unica persona nera nella stanza, l’intento di criticare una società additandola come razzista, c’è anzi la voglia di raccontare una storia che sia in grado di andare ben oltre il razzismo. Far luce sui suoi aspetti, sul modo in cui parliamo di qualcosa e ci approcciamo ad essa significa renderci consapevoli di quel che non sapevamo.

Io, ad esempio, non ero a conoscenza di concorsi di bellezza come Miss Sri Lanka Italy. Parteciparvi per Nadeesha Uyangoda è stata occasione d’oro per raccontarci in questo libro anche quanto importante sia per uno straniero che vive in Italia doversi confrontare con il suo senso di appartenenza al paese d’origine.

“Il Lotus Club aveva creato un evento pressocchè unico nell’allora panorama milanese, e se avesse voluto distinguersi dai concorsi nazionali – tanto criticati per essere solo una sfilata di donne oggettivizzate -, avrebbe dovuto puntare più sulla componente culturale e l’inclusività etnica dei corpi. Invece, pur restando l’unico concorso in cui bellezze non caucasiche si sentissero accettate, Miss Sri Lanka Italy non riuscirà mai ad andare oltre quella patina brillantinata che la accomuna a Miss Italia. È una delle ragioni per cui mi piaceva chiedere alle concorrenti se si sentissero femministe.”

Tra le cose che si imparano leggendo il libro c’è anche il concetto di femminismo intersezionale. La Uyangoda riesce nel suo testo non solo a spiegarci cosa sia l’intersezionalità, raccontandone l’origine storica, ma anche a farci comprendere quanto importante sia non trascurare la potenza del vero femminismo, quello lontano dagli slogan vuoti e molto vicino all’essenza della donna. Razza, classe e genere sono intersecati tra loro, ignorarlo significherebbe, effettivamente, non avere contezza della società, di come sia fatta e della direzione in cui sta andando.

Non è un caso che L’Unica persona nera nella stanza faccia una profonda riflessione anche sul linguaggio, su quel “di colore” che ha provocato a Nadeesha – che l’ha usato nel suo articolo di Not – critiche su Facebook, passando per la scoperta di termini come “colorismo”, “tokenism” e “light skin privilege”. Spiegarli qui sarebbe ridurre a poche righe qualcosa che in questo libro è descritto bene e senza pedanteria, con un riferimento costante al quotidiano e all’esperienza diretta che lo allontanano dai saggi sulla razza che troppo spesso non assolvono alla loro funzione.

Allora la lettura di L’Unica perosna nera nella stanza acquista un senso a molti livelli. Rende consapevole un cittadino ma anche un comunicatore, possibilmente pronto a fare i conti con la poca capacità dei media contemporanei di fornire una narrazione sana della razza e del razzismo. I social non sono uno strumento marginale, sono anzi uno dei mezzi di comunicazione che oggi potrebbe fare molto in questo senso. “Razzismo in Italia è anche il fatto che il razzismo venga narrato, interpretato, giudicato e assolto da persone bianche.” , dice Nadeesha facendoci notare come la politica sia oggi un anello debole, accompagnata da una comunicazione che potrebbe influenzarla ma lo fa poco.

Il discorso è ampio, complesso e dalle mille sfaccettature e consigliare questo libro significa fornire uno strumento per approfondire tutti gli aspetti di un tema che va affrontato esattamente così. L’autrice di questo libro, che dopo l’articolo scritto dice di essersi resa conto che “per la prima volta avevo concentrato in una pagina cosa significhi essere un nero italiano”, ci regala uno spaccato di mondo. Senza rabbia, con semplicità e una forte potenza narrativa, Nadeesha Uyangoda ci porta nel suo mondo, per poi farci comprendere che quello è il mondo di tutti e che tutti, forse, pur giustamente diversi, potremmo guardare nella stessa direzione.  

“L’unica persona nera nella stanza” di Nadeesha Uyangoda, edizioni 66thand2nd.

Biro & Taccuino

Francesca Romana Cicolella

Giornalista. Nata con una sola passione, cresciuta - per fortuna - a pane e giornalismo. Leggo tanto, scrivo il giusto. Non sono logorroica, ma se scrivo roba lunga vuol dire che ho voglia di parlarne.

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