Libri in pillole

“Neanche da morto il nome perdesti” di Luis Gusmán: recensione libro

C’è una pagina nera nella storia dell’Argentina a cavallo degli anni ’70 e ’80 che torna con prepotenza nella letteratura contemporanea del Paese del Cono Sud: è quella relativa alla dittatura militare capeggiata da Videla, responsabile del rapimento e dell’esecuzione di migliaia di uomini e donne, accusati di essere dissidenti politici o sovversivi. Secondo le stime ufficiali furono circa 30.000 i desaparecidos, prelevati con la forza dalla polizia di regime e poi svaniti nel nulla.

In quegli anni, dunque, in Argentina la politica era sinonimo di terrore, perché chiunque partecipasse all’organizzazione di attività anti-governative, o fosse anche minimamente sospettato di non sostenere il regime, correva il rischio di essere sradicato dalla propria casa e trasformarsi in un fantasma. Una minaccia costante, davanti alla quale, però, tante e tanti valenti giovani non si fermarono, coscienti della necessità di ribellarsi contro la repressione politica e sociale per riconquistare la libertà.

“Alla fine Federico capì che in tutta la vita non aveva fatto altro che aspettare la visita di Ana Botero. Quella donna era l’unica persona che gli restava, e non sapeva nemmeno com’era fatta. Dopo la morte della nonna e la scoperta del documento qualcosa era cambiato. I nonni avevano voluto che Federico si tenesse alla larga dalla politica. Avevano il terrore che gli succedesse quell’ che era successo al figlio”.

Con Neanche da morto il nome perdesti Luis Gusmán mostra quanto le cicatrici di una storia violenta e assassina che ha oscurato l’Argentina per quasi una decade siano ancora tremendamente fresche, facili da far sanguinare nuovamente. Federico e Laura, infatti, i protagonisti del romanzo, non possono evitare di vivere nel ricordo di ciò che è stato, di ciò che hanno vissuto o parzialmente saputo, anche perché il passato non sparisce nel nulla ma torna inevitabilmente a palesarsi nel presente. E per conoscere e conoscersi, pertanto, è necessario tornare lì dove fa più male, indietro nel tempo fino a quella notte del 1977 in cui i loro destini si incrociarono: perché ricordare e ricostruire diventano operazioni inevitabili per chi sa che la memoria è l’unico strumento che può continuare a dare vita a chi la vita la sacrificò per contrastare il dispotismo e la violenza.

Luis Gusmán, con una narrazione asciutta, incisiva e diretta ci riporta esattamente in quegli anni di terrore, affidando ai testimoni di quell’epoca buia il racconto di una realtà che, amaramente, coinvolse un’intera comunità, quella cioè che non si piegò davanti a chi torturò e uccise senza pietà in nome di un processo banalmente definito di riorganizzazione nazionale, ma che invece lasciò dietro di sé solo dolore, morti e angosciosi ricordi.

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“Neanche da morto il nome perdesti” di Luis Gusmán, edizioni Arcoiris. Libri in Pillole.

Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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