“Il dio dei boschi” di Liz Moore: il sentiero che aiuta a ritrovare la strada di casa
Ci sono molti modi per perdersi, suggerisce Moore. Se sei fortunato, un sentiero nel bosco ti aiuterà a ritrovare la strada di casa.
In questo libro Liz Moore utilizza abilmente due velocità, due strade parallele che compongono un universo narrativo entro il quale i personaggi si muovono in costante relazione fra loro e l’ambiente che li circonda.
Ed è proprio l’ambiente che ne Il dio dei boschi si impone come elemento pervasivo già dalle prime pagine. Nel Parco nazionale dei monti Adirondack, la riserva naturale di Camp Emerson è un maestoso “tributo alla natura” (e al padre ispiratore Ralph Waldo Emerson) mantenuto intatto dalla volontà ferrea della famiglia Van Laar che ne detiene la proprietà da tre generazioni.
Nel campeggio della riserva i ragazzi della New York bene vengono mandati a passare le vacanze estive: una sorta di passaggio iniziatico fatto di vita rude e prove fisiche di sopravvivenza nei boschi prima di entrare a pieno titolo in una vita già pianificata, che li vedrà impegnati ad alti livelli nelle professioni volute dai potenti genitori.
È in questi boschi che, a distanza di quattordici anni, i due figli della famiglia dei banchieri Van Laar scompaiono nel nulla. Il piccolo Bear nel 1961 e, già nelle prime pagine del libro, la giovane Barbara, adolescente ribelle mandata a Camp Emerson per lasciare che i genitori possano intrattenere in tutta tranquillità i loro prestigiosi ospiti nella grande villa sulla collina.
Il dio dei boschi di Liz Moore è raccontato da otto prospettive e con 7 linee temporali. Lo smalto è quello del thriller ma, è sufficiente grattare un poco per far emergere le venature di questa storia. Al di là del caso da risolvere, ogni personaggio coinvolto nelle indagini è una tessera del mosaico umano e sociale di quegli anni e di quei luoghi. In ogni piega della storia emergono i temi cari a Liz Moore: la famiglia, la responsabilità, le scelte, le apparenze, l’onestà e la giustizia. Grazie all’ intreccio narrativo che e svela pagina dopo pagina i legami più profondi fra i vari personaggi, la tragica vicenda di Camp Emerson diventa solo la punta di un iceberg costituito da verità taciute, rimosse, imposte o subite da uomini e donne incapaci di comprendersi.
Personaggi stratificati
Dietro le facciate imposte dal ruolo famigliare e professionale ci sono ragazzi e adulti con le loro fragilità, contraddizioni, complessità e fatiche. Perfino ai personaggi più negativi Liz Moore regala
più di una dimensione, come a voler rimarcare, ancora una volta, come tutto ciò che facciamo è sempre frutto di credenze, valutazioni e decisioni.
È un romanzo in cui si sente il profumo e l’umido del bosco; un romanzo in cui si cerca di riprendere fiato con una tazza di caffè caldo fra le mani mentre la testa continua a lottare per trovare il sentiero migliore da seguire. Il dio dei boschi, è anche un romanzo di paure e di sfide, di errori e di vittorie. Un storia in cui la connessione fra potere e verità fa da fulcro all’umano sentire.
Il filosofo Robert H. Ennis definisce il pensiero critico come “pensiero riflessivo ragionevole focalizzato sul decidere a cosa credere o cosa fare”. Credo che in questa frase rappresenti in modo perfetto il finale sorprendente del romanzo.
Un frammento
“Bene” disse T.J. “Ci siamo tutti”
Poi puntò dritta verso il bosco, dove passarono l’ora successiva a imparare a orientarsi. Alla fine della lezione tutti avevano capito le nozioni base dell’utilizzo della bussola o del sole. Se entrambe le tecniche fallivano, concluse T.J., la cosa più importante era non farsi cogliere dal panico.
Alla fine domandò se qualcuno conosceva l’origine della parola.
“Quale parola?” chiese qualcuno dei ragazzi.
“Panico” rispose T.J. Ma nessuno alzo la mano.
Lei spiegò che veniva dal nome del dio greco Pan, il dio dei boschi. Gli piaceva fare degli scherzi alle persone, confondendole e disorientandole fino a quando non perdevano i punti di riferimento e la testa.
Farsi cogliere dal panico, spiegò T.J., significava farsi nemica la foresta. Restare calmi voleva dire farsela amica.
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