Come l'arancio amaro, Milena Palminteri. Un esordio potente, personaggi indimenticabili.
Un vigoroso affresco corale in una Sicilia stagnante e polverosa, dove le donne tentano di violare il copione della loro storia.
Incuriosita dal clamore mediatico e, lo ammetto, timorosa che si trattasse dell’ennesima operazione di marketing che non trova riscontro nella qualità della narrazione, qualche mese fa mi sono accinta alla lettura di “Come l’arancio amaro”, di Milena Palminteri.
Credo che uno dei piaceri perversi più attesi dai lettori e dalle lettrici sia veder sconfessate le proprie supposizioni. Ed è proprio quello che è accaduto nella lettura di questo libro.
Siamo nell’Agrigento degli anni Sessanta, dove Carlotta, segnata dalla morte del padre (scomparso proprio nella notte in cui lei veniva al mondo), dall’abbandono dell’amata bambinaia e dalla freddezza di una madre che l’ha amata sempre di un sentimento trattenuto, guarda la sua vita scorrere placida, senza sussulti, nè trasalimenti emotivi. Ha rinunciato al sogno di diventare avvocata, in un contesto dove esercitare la professione forense era ancora appannaggio maschile, e ha ripiegato su un monotono lavoro all’Archivio notarile.
QUANDO IL DESTINO VIENE A CERCARTI
Ma è proprio qui che la sua vita, all’improvviso, viene travolta. Per caso Carlotta trova un documento della nonna paterna nel quale la donna accusa la madre di non averla partorita, ma comprata. Ha inizio, così, una serrata indagine che ci conduce nella Sicilia degli anni venti, quando Nardina, sopraffatta dalla pressione della madre e dalla “colpa” di non riuscire a dare un figlio al marito, il barone Carlo Cangialosi, sigilla un patto segreto con Sabedda, la serva povera e fiera, incapace di sfamare la creatura che ha in grembo e costretta a una scelta estrema.
La penna intensa di Milena Palminteri apre le dighe a una narrazione densa e vigorosa, tratteggiando indimenticabili personaggi femminili fieri e arditi, che cercano, ciascuno con gli strumenti e la sensibilità di cui dispongono, di plasmare un destino tristemente ingeneroso con le donne. Ed è proprio il corpo delle donne a diventare campo di battaglia di vendette e soprusi, affermazioni e rivalse.
UNA SCRITTRICE DI RAZZA, UNA LINGUA CHE FRUSTA E ACCAREZZA
Sebbene al suo esordio, Milena Palminteri non può essere che essere considerata scrittrice di razza. La storia, l’intreccio, i personaggi, il linguaggio si fondono compiutamente, dando vita a un affresco vibrante di una Sicilia che si fa sfondo e protagonista delle vicende narrate. Personalmente ho trovato l’uso del siciliano, che per alcuni rende ostica la lettura, funzionale all’intreccio e soprattutto dal forte potere onomatopeico, una lingua di suoni evocativi in grado di trasmettere, prescindendo dal mero significato logico, le sensazioni che attraversano i protagonisti del romanzo.
L’autrice ha una voce potente e originale: una storia può essere raccontata in milioni di modi diversi, è sempre, a mio avviso, lo stile a fare la differenza. E in questo caso la differenza, corroborata da un eccellente lavoro di editing, si percepisce nitida e cristallina.
IL VINO
Ad accompagnare questa lettura, niente di meglio di un Catarratto DOC, vino bianco siciliano con caratteristiche note agrumate di arancio amaro.
LE CITAZIONI
“Viene a dire che la pianticedda dell’arancio amaro a tutti ci pare uno sbaglio della natura ché uno spicchio in bocca non si pò metteri tanto disturba. Però… è forte, tanto forte che l’innesto di tarocchi, sanguinelli e ribera dentro a essa subito pigghia e l’alberi bastardi crescono più belli di quelli in purezza”.
“Carlotta mia, io dell’arancio amaro conosco solo le spine e ormai non mi fanno più male. Ma il profumo del suo fiore bianco è il tuo, è quello della libertà”.
“Come l’arancio amaro” di Milena Palminteri, Bompiani, a cura di Sopra le righe.