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Moving Books – L’età dell’innocenza

Quando vidi per la prima volta L’età dell’innocenza (1993) di Martin Scorsese, non avevo ancora letto l’omonimo romanzo d’origine (1920). E per tutta la durata del film mi chiesi: per quanto tempo reggerà questa storia platonica?

Allora non capivo che l’oggetto del desiderio non era solo la concretizzazione fisica, ma proprio la relazione stessa, la cui verità profonda non poteva essere accettata dalla buona società di New York. Lo sapeva bene Edith Wharton (1862-1937), il primo Premio Pulitzer di sesso femminile e certamente una delle autrici più ‘frequentate’ dal cinema. Dopo aver letto il suo libro, posso dire che il film di Scorsese ne è la trasposizione perfetta. Si respira la stessa aria vischiosa e polverosa, lo stesso muoversi a passo di danza in un mondo fatto di regole a cui non è possibile sfuggire, pena la condanna pubblica.

Martin Scorsese, L’età dell’innocenza, 1993
(Credits: The Age of Innocence © Columbia Pictures 1993)

Splendono per contrasto alcuni dettagli: posate, abiti, fiori, dipinti. E naturalmente la bellezza dorata di Ellen Olenska, a cui sono riservati i colori più brillanti. È lei la fiamma che arde in contrasto con il candore d’acciaio di May, molto meno inoffensiva di quanto non sembri. Nel film come nel romanzo, niente si risolve e niente cambia davvero: le classi sociali e la disparità fra i sessi restano pilastri immutabili. E noi restiamo a osservare la vita vera da fuori insieme a Newland, nel cui nome leggiamo l’ironia di un “nuovo mondo” inesistente.

Martin Scorsese, L’età dell’innocenza, 1993
(Credits: The Age of Innocence © Columbia Pictures 1993)

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Chiara Tartagni

Copywriter, studiosa di storia dell’arte, insegnante, nerd, ma soprattutto una persona molto curiosa. Ama tutto ciò che riguarda le immagini, in movimento e non. Ha scritto un libro per Jimenez Edizioni, "Le relazioni preziose": un piccolo viaggio sentimentale fra il Settecento e il cinema contemporaneo.

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