Roberta Recchia ha esordito con TUTTA LA VITA CHE RESTA (Rizzoli), un libro che ha avuto molto successo tra i lettori, a mio parere meritatamente, tanto da poter affermare che sia nata una nuova stella brillante nel panorama letterario italiano.
Un libro stratosferico
Una storia potente e dura raccontata in modo pressoché perfetto, tanto da poter definire stratosferico questo libro.
Perché è bellissimo e perché è fatto di strati che si compongono in un insieme che fila, una sfera colma del dolore che gli eventi quasi impossibili da narrare sono fatti.
Ma non solo del dolore. Anche della vita.
I personaggi
Ci si immedesima nei personaggi molto ben caratterizzati.
Così si diventa Marisa e Stelvio negli anni Cinquanta e oggi. Si diventa Betta, e la sua gioia di vivere. Si diventa Miriam, e il suo panico di vivere. Si diventa Leo, con la sua genuinità, la sua generosità, la sua capacità di cura, mio personaggio preferito insieme alla sorella Corallina, sorella che tutti vorrebbero avere, monumento al diverso, alla fragilità, alla dignità.
Li leggiamo, siamo loro, siamo con loro. Partecipi e al contempo spettatori.
La vita di prima e tutta quella che resta
Un inno all’Amore, alla capacità che è insita in ognuno di noi di rialzarsi, riappropriandosi del proprio centro, anche e soprattutto grazie all’affetto e alla cura.
Alla fine aveva compreso che, al di là delle apparenze, in lui c’era un candore che le brutture della vita non avevano scalfito. Lui non era corrotto. Leo credeva sul serio che una giornata si sole potesse farti fare pace con l’esistenza, che la pizza tiepida con la mortadella alleviasse ogni sofferenza, che essere fragili fosse bello perché la vulnerabilità rende l’amore indispensabile.
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“Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia, Rizzoli. A Garamond Type.