Quando ho tra le mani un nuovo libro di Valérie Perrin provo gratitudine, un sentimento che mi accomuna a un gran numero di lettori a quanto pare, se anche il suo ultimo romanzo, TATÀ, si è collocato al nono posto della classifica dei libri più venduti nel 2024 in Italia, ma sono certa che ciò sia dovuto prevalentemente al fatto che è uscito il 19 novembre (pubblicato da edizioni e/o con la traduzione di Alberto Bracci Testasecca), altrimenti lo avremmo trovato sicuramente sul podio.
La mia gratitudine è dettata soprattutto dall’abilità di Perrin di saper narrare storie in cui immedesimarsi, costruite in modo da agganciare il lettore in modo avvincente e senza risparmiare ironia, sofferenza, mistero.
È questo un libro che “porta via”, ancorando il lettore a una storia fatta di storie, intrecciate da fili che uniscono segreti, sentimenti, emozioni, vite. Come nel suo grande successo editoriale CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI, l’autrice mostra di subire la fascinazione dei cimiteri, evidenzia il contrapporsi del nero al colore (come non ricordare i guardaroba estate e inverno di Violette), sottolinea il fascino evocato da cognomi come Été e Septembre.
Agnès non crede alle sue orecchie quando viene a sapere del decesso della zia. Non è possibile, la zia Colette è morta tre anni prima, riposa al cimitero di Gueugnon, c’è il suo nome sulla lapide… In quanto parente più prossima tocca ad Agnès andare a riconoscere il cadavere, e non c’è dubbio, si tratta proprio della zia Colette. Ma allora chi c’è nella sua tomba? E perché per tre anni Colette ha fatto credere a tutti di essere morta? È l’inizio di un’indagine a ritroso nel tempo. Grazie a vecchi amici, testimonianze inaspettate e una misteriosa valigia piena di audiocassette, Agnès ricostruisce la storia di una famiglia, la sua, in cui il destino dei componenti è legato in maniera indissolubile a un circo degli orrori, all’unica sopravvissuta di una famiglia ebrea deportata e sterminata dai nazisti, alle vicende di un celebre pianista e a quelle di un assassino senza scrupoli, alle subdole manovre di un insospettabile pedofilo e al tifo sfegatato per la locale squadra di calcio, il FC Gueugnon.
I temi
Ho ritrovato in TATÀ molti temi già affrontati nei libri precedenti di Perrin, che in queste pagine sono trattati in modo a mio parere più incisivo seppur sempre con grazia: la famiglia di sangue contrapposta a quella affettiva; l’amicizia che crea legami dall’infanzia e quella che è sorellanza; l’amore perduto e quello inaspettato; le radici e il ricordo («… ho pensato che è magnifico conservare voci. Ancora più delle immagini. L’immagine si impone, la voce diventa eterna e reinventa un volto, è come se avessimo la stessa voce a tutte le età.»); il tifo per la propria squadra di calcio, fonte di gioia; la violenza, che sfocia nei maltrattamenti e perfino nell’omicidio; la pedofilia, che genera mostri; il rispetto degli animali, il loro abbandono e le adozioni che passano attraverso i rifugi, tema a cui l’autrice è sensibilissima essendo anche madrina proprio di un rifugio in Borgogna; la musica che salva.
Le protagoniste
Le protagoniste sono Agnès, la nipote, e Colette, la sua zietta, tatà in francese, che lei non ha mai
chiamato così. Occorre leggere le quasi seicento pagine di questo romanzo per scoprirne il perché, nell’ultima riga.
Fino all’altroieri Colette era viva e io non ne avevo idea.
«Ricorda qualche segno particolare?» chiede il medico legale.
Scuoto la testa.
Ne aveva tantissimi, ma nessuno che si possa vedere su quella povera salma scheletrica. Aveva il passo rapido, un bel portamento, era fine, non si è sposata, non le ho mai visto un innamorato, non ha avuto figli, era misteriosa come una tomba, talmente misteriosa che ignoro chi sia sepolto nella sua da tre anni, aveva belle mani e sapeva usarle, era tifosa del FC Gueugnon, adorava i romanzi di Agatha Christie, di Pierre Bellemare e di Simenon. E in quel momento capisco di essere una cretina. Mi volto verso Rampin e mormoro:
«Sono una cretina».
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“Tatà” di Valérie Perrin, edizioni e/o. A Garamond Type.