“L’assenza della madre è stata come un’altra lingua da dover imparare, la cui piena complessità e le cui sfumature possono emergere solo dopo anni di studio, e che perfino allora, essendo straniera, non si lascia mai assimilare del tutto.”
Sì, viaggiare!
Sfilare LA MOGLIE, romanzo del 2013, dalla pila dei libri da leggere è stato come regalarmi un viaggio in esistenze lontane geograficamente, culturalmente e nel tempo. Anche grazie alla traduzione di Maria Federica Oddera.
Conobbi l’autrice a “Il Tempo delle Donne” a Milano nel 2018, presentava il suo libro “Dove mi trovo”, il primo scritto direttamente in italiano, che lessi allora e che mi piacque non poco; ricordo la sua Bellezza con la B perché fatta della sua grazia, della sua gentilezza, della sua cultura, del suo amore per Roma e per l’Italia (tanto da scegliere come frase in esergo per questo libro una frase di Giorgio Bassani: “lascia ch’io torni al mio paese sepolto / nell’erba come in un mare caldo e pesante.”).
L’India protagonista
Ho ripensato spesso ai suoi verdi occhi sconfinati e alla sua pelle di ambra, chiari segni della sua origine indiana, mentre leggevo questo romanzo che dell’India racconta in modo distratto, ma non per questo non esaustivo, la gente, i costumi, la storia e soprattutto gli anni della sua indipendenza, i cibi, le feste sacre, gli abiti, la povertà.
I protagonisti sono due fratelli, nati a quindici mesi di distanza in un sobborgo di Calcutta, diversi ma complementari: Subhash e Udayan. Il primo si trasferisce nel Rhode Island per studiare ma non esita a tornare quando il fratello, suo alter ego, muore drammaticamente, ucciso perché ribelle maoista naxalita, e a decidere di prendersi cura di sua moglie Gauri, una studentessa di filosofia che il fratello ha sposato per amore, contravvenendo alla tradizione dei matrimoni combinati, sposandola a sua volta. Da qui il titolo italiano.
The Lowland
Personalmente preferisco quello originale, ossia THE LOWLAND, la spianata, quella dove i fratelli giocavano da ragazzi e dove Udayan viene ammazzato, e che sparirà nel tempo, fagocitata dall’espansione urbanistica di Calcutta. Il titolo originale si focalizza giustamente su questo luogo simbolico, dove sta il nucleo narrativo e dove, forse, è celata la verità.
I temi
Il romanzo non tratta solo del tema della fratellanza: ricorrono l’integrazione culturale e professionale in un paese diversissimo da quello di origine (Stati Uniti vs India); la ricerca di una patria, inficiata dalla presenza di una lingua diversa da quella madre; il danno dei silenzi e dei sensi di colpa, su tutti quello di questa moglie, forte e indipendente, con una tale brama di libertà da fare una scelta drastica e drammatica, ossia l’abbandono dell’unica figlia, Bela. Ecco perché ho scelto la frase riportata in apertura: racconta anche cosa è stata per una figlia l’assenza di una madre, il suo senso di abbandono per non essere stata scelta, come è stato possibile crescere dritta e non anaffettiva nonostante tutto. Per poi ritrovarsi a sua volta madre e a fare delle scelte analoghe ma al contempo diverse. Come essere genitori è così un altro tema cruciale, e l’autrice lo affronta mettendosi e mettendoci nei panni di chi lo è per biologia e di chi lo è per capacità di accudimento dopo un percorso di conquista graduale e faticoso.
Ci sono fughe, abbandoni, ritorni. E tutti i sentimenti, narrati nella loro complessità. Non mancano le descrizioni di paesaggi. Non è un libro perfetto, anzi, ma mi è piaciuto.
La copertina
Oltre al titolo, discutibile per me pure la scelta della copertina italiana, forse evocativa del passato a cui si vuole rimanere fedeli (il vaso rosso con i tre tulipani rossi, appoggiato a un rettangolo color sabbia che può rassomigliare a una spianata, sul quale proietta un’ombra) e della possibilità di ricominciare altrove una nuova vita (il vaso marrone con i tre fiori diversi colorati e senza ombra).
“La moglie” di Jhumpa Lahiri, Guanda. A Garamond Type.