Anonima Lettrice Italiana

“Maschio bianco etero” di John Niven: recensione e podcast

Dallo scozzese autore di “A volte ritorno”, il bestseller “Maschio bianco etero” di John Niven, la dissacrante e decisamente esplicita catarsi dell’uomo moderno, mia prima lettura del 2024: d’altronde, avendo da scegliere tra una quarantina di volumi sulla scrivania, perché non aprire invece il Kindle e rimandare l’irrecuperabile?
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Sesso, droga e una macchina da scrivere

Kennedy Marr, donnaiolo ed egotico, vive nell’opulenza hollywoodiana come sceneggiatore di successo. Disprezza i propri umili natali inglesi e soffoca la solitudine in una vita bulimica di esperienze ed eccessi.
Ovviamente non si può funzionare troppo a lungo fuori dal seminato, e a furia di eccedere si ritrova inseguito dalle tasse e dai produttori losangelini, per ritardi nelle consegne e soprattutto per inedita povertà.
Cascherà a fagiolo l’assegnazione di un prestigioso premio letterario inglese, che lo costringerà a fuggire, ehm, a tornare a casa e a cominciare a insegnare scrittura creativa in un college britannico pieno di illetterati figli di papà. Cambierà completamente focus e affronterà vecchi fantasmi e rinnegati legami familiari.

Lui scrive, lui è cool, lui crolla, alla fine scrive davvero

Inizialmente mi apparve come la versione hard-core di un Hallmark movie in cui una scrittrice esaurita torna al paese natale e scopre l’ammmore nel boscaiolo della porta accanto. Ci andava alle elementari, ma lo ha opportunamente dimenticato per anni, modello badilata alla nuca. Per fortuna mi sbagliavo su tutti i fronti: il protagonista non ha dimenticato niente, e la badilata se la darebbe da solo.
Ad ogni modo non è stata una passeggiata di lettura, dato che sto attualmente limandomi un po’ come lettrice pulp (temo ancora molto Lansdale, e Palahniuk mi ha sdraiata più volte). Credevo inoltre che dopo “26.900 lire” non mi sarei più amareggiata di fronte all’ennesima sindrome di Peter Pan del consueto personaggio ben inserito ma autodistruttivo (ma, ehi-ehi-ehi, pur sempre lavorante in un’industria creativa e/o di successo, quindi non può essere tanto male! Spoiler alert: può). Invece anche nelle prime pagine del romanzo che ha seguito il successo di “A volte ritorno” sono stata più volte tentata di abbandonare perché temevo un certo autocompiacimento -. A proposito, per gli amanti dei pulpettoni iperrealisti, c’è una memorabile scena autoerotica iniziale, più affollata di quello che uno si aspetterebbe dalla parola “auto”.

Karma is a bitch (or a writer?)

Ma, e qui viene il talento di Niven, il protagonista Kennedy Marr ha qualcosa che “26.900 lire” e “Studio Illegale” non mi proposero al tempo, sarà che proprio di tempo si trattava: un minimo di autocritica, e un po’ di karma. Magari negli anni Novanta si poteva dare la colpa al sistema che si e ci corrompeva, e magari nei primi anni Duemila si gridava allo choc culturale post-internet che aveva involgarito ogni processo relazionale. Ma negli ultimi anni nemmeno il più incarognito ‘maschio bianco etero’ può evitare di mettersi in discussione, e di mettere in discussione la propria responsabilità nei risultati della sua Tabella del Dolore.
Oggi nessuno è innocente, e persino il più fondato dei vittimismi nasconde quasi sempre uno scheletruccio nell’armadio; figuriamoci se parliamo di un tizio che tradisce la moglie nel giorno del loro matrimonio, o che sostiene che sia meglio mortificare un’intera tavolata pagando l’intero conto piuttosto che ascoltarli chiedere chi ha preso l’antipasto e chi no.

Chi d’amore tradisce…

Non sono riuscita né a odiare Kennedy Marr come ho odiato l’amorale protagonista di “26.900 lire” né a frustrarmi per la sua inettitudine come ho fatto per l’ottimo Endriu di “Studio illegale”: in “Maschio bianco eteroil protagonista si prende il suo spazio dal proprio edonismo per sentirsi una merda, riflettendo su ciò che chiama il Tradimento dell’Amore (righe strazianti in un mare di irriverenza, neanche un po’ di rispetto per chi un attimo prima stava ridendo per i cento modi diversi in cui il protagonista riesce a insultare una donna, e all’improvviso si ritrova con gli occhi lucidi a scuotere la testa esaltandosi da sola: “Capolavoro!”). Ma soprattutto lo fa prima che ce ne sia bisogno, in un momento insospettabile, perciò dopo le prime semi-indigeribili pagine, John Niven ha meritato la mia attenzione fino alla fine.
Consiglio a tutti di godersi questa lettura, soprassedendo sulle centoventi parolacce a riga che potrebbero o non potrebbero spostare la vostra attenzione, perché – al netto dell’accettazione che si tratti di un romanzo leggero, poppettaro, destinato alla lettura ma non alla rilettura – vi garantisco che si ride, si piange, si ammira, si comprende, e soprattutto ci e si perdona. Nessuno, ripeto, nessuno è innocente. Senza contare che, essendo il protagonista uno scrittore, le metaconsiderazioni sono all’ordine della pagina.


“In ogni storia degna di essere ricordata, i problemi dell’ultimo atto erano lì già dal primo.”

Maschio bianco etero” di John Niven, Einaudi, 2019. Anonima Lettrice Italiana.

Ali

Leggo, scrivo, parlo, ma soprattutto parlo. E poi leggo e scrivo.

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