Ho una grande fiducia in un seme. Convincimi che hai un seme, e sono pronto ad aspettarmi meraviglie. Thoreau ha sempre una buona parola per tutto, una specie di spiegazione alla quale possiamo credere o no. A me piace questa idea di seme da ctivare e in cui sperare mi regala sempre un senso di pace, qualcosa che mi permette in qualche modo di sopravvivere a sto mondo infame.
Si, ho l’animo cioraniano durante e dopo le feste, circa 365 giorni l’anno. Però sono una che spera, che in qualche modo ha una sua fede in qualcosa e quel qualcosa sono i semi nascosti nelle persone.
La scatola dei ricordi di Wilbur. Sono sibito usciti fuori i commenti del “è maschio/femmina” e allora ho tentato in primis di smontare questa convinzione becera che si è femmina solo perché si hanno le ciglia lunghe o perché c’è del rosa. E questi bambini sono entrati in crisi tranne due che subito “siamo tutti liberi di truccarci, se tu non ti trucchi non significa che sei maschio”.
Finita la lettura che puntava a dare importanza alla coltivazione del ricordo nella testa e non tanto alla presenza di un oggetto, con i bambini sopravvissuti a questo affronto fatto da una forestiera, abbiamo preso un bicchierino di carta composta ile, messo del terriccio e messo un seme.
“Se anche non esce la fogliolina, non mollate. Non sempre è il momento giusto. Prendete un altro bicchiere e un altro semino e riprovate”.
Con i genitori e i bambini, invece, ho chiesto di essere coraggiosi e di mettere su carta uno dei loro ricordi più belli. Tutto anonimo, tutto chiuso. Non c’è mai una foto in cui vengo bene, occhi chiusi, bocca aperta pose strane. Poco importa. Il punto è che Wilbur possiamo raccontarlo e spiegarlo ai nostri pulcini ma prima di tutto, signori miei, dobbiamo spiegarlo a noi stessi.