Il lupo di Jean-Marc Rochette: riflessioni sulla natura dell’uomo
L’ippocampo edizioni mi aveva travolta con questa storia, Il lupo, di Jean-Marc Rochette. Toccando la copertina camminiamo sulla neve, si sentono freddo e roccia dura. Si percepisce astio e ci si può anche credere più forti della natura stessa.
I tratti di Rochette sono tratti duri, spigolosi; Isabelle Merlet ne colora gli interni e il cielo diventa freddo e distaccato dal resto come Gaspard, il pastore protagonista di questa storia.
Questa graphic novel trattiene in sé il potere calmante della montagna ma anche l’odore della carneficina che da anni prende vita sulle montagne. Il pastore e il lupo non possono vivere insieme, dicono lì in cima. Eppure non è così, non è questione di pastori ma di uomini. Da sempre l’uomo ha preteso che fosse il lupo delle montagne a lasciare il territorio, mettendo radici altrove.
Una volta cacciato, però, l’uomo è pronto a tornare a valle. La storia si ripete sempre, nello stesso identico modo.
Portatore di radici
La paura del lupo è qualcosa di così radicato dentro di noi che non riusciamo a concepire una condizione sociale senza la presenza di un lupo cattivo.
Rochette illustra perciò una storia che conosciamo tutti e che, anche se non vissuta, siamo in grado di raccontare.
Abbiamo condannato il lupo non per quello che è, ma per quello che abbiamo deliberatamente ed erroneamente percepito che fosse – l’immagine mitizzata di uno spietato assassino selvaggio -. Che, in realtà, non è altro che l’immagine riflessa di noi stessi.
Farley Mowat, etologo e scrittore canadese
Da aggiungere su questa opera non c’è molto di più, ahimè il lavoro più grande e impegnativo spetta al lettore che dovrà comprendere e mediare ogni posizione, provando a chiedersi quale sia suo riflesso. In quali occhi si rivede?