“Trilogia della città di K” di Agota Kristof: un libro che toglie il fiato, il sonno e il senno.
“Trilogia della città di K” di Agota Kristof
Esattamente dopo 10 anni ho riletto quello che, secondo me, è il libro più bello di sempre!
Quando mi chiedono di questo libro, io rispondo sempre con una sola frase:
“É UN ROMANZO CHE TOGLIE IL FIATO, IL SONNO… E IL SENNO.”
Ma solo leggendolo si potrà capire il perché, non è assolutamente un libro che si può raccontare.
Merita più letture
Sono una persona che rilegge raramente, soprattutto perché ho sempre il timore che un libro molto amato possa non regalarmi le stesse emozioni e sensazioni una seconda volta, e quindi rovinarne per sempre il ricordo.
Ho rischiato tanto, ma non solo ho ritrovato tutto lo stupore, lo sgomento e l’inquietudine che mi avevano tramortita allora, ma si è aggiunta anche una mia maggiore consapevolezza di lettrice che ha definitivamente cementato il mio amore per questa autrice.
In queste pagine c’è tutto e il contrario di tutto.
La storia viene presentata in un certo modo, poi scomposta e poi ricomposta, ma in maniera completamente differente dalla prima, come un caleidoscopio che riflette immagini simmetriche che mutano in maniera imprevedibile.
Più mondi possibili, ma quale sarà quello reale è un’informazione che la Kristof non è disposta a darti: ti confonde, ti spiazza, ti porta dove vuole lei, ti monopolizza i pensieri.
Una geometria perfetta pur nelle sue parti irregolari, come il Triangolo di Penrose che sfida la nostra percezione visiva “sembrando” tridimensionale, ma che non può esistere effettivamente nello spazio.
Una forma impossibile eppure affascinante.
Come la storia di questo romanzo, così falsa da sembrare vera: una menzogna così abilmente costruita che, alla fine, diventa impossibile distinguere tra realtà e immaginazione.
Claus e Lucas
Claus e Lucas, nomi anagrammati, personaggi interscambiabili in un rapporto dapprima morboso e simbiotico, poi incredibilmente distaccato.
Una simbiosi avvelenata dallo spettro della guerra, dalla vita… vita che forse non è mai stata doppia, o forse non è mai stata affatto!
Gelido, morboso e altamente disturbante nella prima parte, si arricchisce e si fa più letterario man mano che si procede pur rimanendo sempre molto asciutto, come a voler suscitare forti emozioni con meno parole possibili capaci però di evocare immagini eloquenti.
Non dimentichiamoci neanche che Agota Kristof, dopo la fuga dall’Ungheria in Svizzera, decide di scrivere in francese, nella sua nuova lingua, la lingua nemica, la lingua imposta dalle circostanze, lingua non scelta che uccide quella materna.
(A questo proposito straconsiglio il suo piccolo libro “L’analfabeta”)
Temi cari alla Kristof
In questo libro ci sono tutti i temi cari alla Kristof (che ritroveremo anche altrove): la guerra, la fuga, l’ambientazione non collocabile e un tempo non perfettamente definito, il gioco di identità, il distacco, il potere della menzogna, l’infanzia difficile, il delirio e l’alienazione.
Tutto questo fa sì che molti possano trovarlo sgradevole, nauseante, respingente, e posso anche comprenderne i motivi: non è facile impattare nella sua fredda disperazione, ma a mio avviso il suo modo di registrare gli orrori del mondo possiede una spietatezza così vivida da risultare quasi innocente.
Rimane saldamente sul podio dei miei libri preferiti.
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“Trilogia della città di K” di Agota Kristof, Einaudi editore . Un libro tra le mani.