Un libro tra le mani

“La ragazza perduta” di Salvatore Mannuzzu: In qualche modo si guarisce dalla vita

LA RAGAZZA PERDUTA, di Salvatore Mannuzzu 

(Einaudi, 131 pagine)

“Mia moglie crede che non le voglio più bene”.

Un racconto-flashback bellissimo, un racconto che è il regalo che un marito fa alla propria moglie per dimostrarle che l’ama ancora.

Così leggiamo della nascita del loro amore, raccontata da lui, dalla sua prospettiva, quando ormai avanti con gli anni si guarda indietro e cerca di ritrovare quel che è stato, chi erano, cosa volevano.

É quindi la storia di ciò che il tempo fa alle persone che si amano.

 

“Che sopravvive dunque di noi e di allora? Ho imparato: nessuna cosa rimane se stessa, né mai è stata se non nel groviglio delle altre; da esso, forse, si può riprendere la posta che sembrava perduta. Dunque in quei ballabili remoti, scritti su vecchi rigidi dischi, si annida il grumo indistinto della nostalgia e della gelosia: di quanto si vorrebbe richiamare in vita, e non si può, e di quanto invano si vorrebbe non fosse stato.”

É una storia d’amore nata per caso (ma d’altronde non nascono tutte così, le storie d’amore?): la storia di come una ragazza di 17 anni, bella, esuberante e profondamente infelice, irrompe nella vita di un serioso e rigido magistrato, con una bizzarra telefonata anonima, andando a scompaginare la sua esistenza fatta di noia, solitudine, carte processuali da smaltire e lunghissimi silenzi.

La ragazza perduta

La “ragazza perduta” del titolo è Zezi, giovanissima e sfacciata, apparentemente frivola e un po’ folle,  millantatrice di una malizia che in realtà non le appartiene, forse per fingersi altro da sé, e non dover fare i conti con un’infanzia agiata ma vuota d’affetto.

Zezi è una ragazzina instabile psichicamente, cresciuta dalle serve, che guida senza avere la patente e che viene etichettata dalla comunità come “matta” o “puttana“, o addirittura “ninfomane“, ma lui, il magistrato fuorisede destinatario delle sue telefonate serali, piano piano si accorge di non poter più fare a meno di lei (anche delle sue stranezze) fino a maturare un sentimento e una gelosia nei suoi confronti che mai si sarebbe immaginato di provare.

“Adesso un tale intrico di ansie e di patemi mi sembra distante piú di tutto, impossibile; credo di averlo rimosso dalla coscienza e ne sopporto male il ricordo, mi umilia; però è stato vero, ci ho abitato dentro e mi ci sono anche perduto.”

Il loro rapporto sarà molto particolare, sempre in bilico: ora alle stelle ora giù nell’abisso.

Ma la bellezza di questo testo va molto al di là della storia in sè, sta nella prospettiva, nel taglio dato alla narrazione, nella scrittura precisa, poetica, elegante, nel suo andamento lieve e pacato ma vibrante, in quel suo accettare sommessamente il dolore.

“…gli amori sono diversi fra loro ma tutti guariscono, mentre si guarisce in qualche modo dalla vita.”

NASCITA E TRASFORMAZIONE DE “LA RAGAZZA PERDUTA”.

Questo racconto viene pubblicato nel 1992, col titolo “Dedica“, all’interno di una raccolta intitolata “La figlia perduta“.

A distanza di vent’anni l’autore lo riprende, e quella che doveva essere una veloce revisione diventa un vero e proprio lavoro di ampliamento e riscrittura che ha dato vita a questa pubblicazione.

E quindi che cosa ho fatto io?

Ovviamente sono andata a recuperare l’edizione del ’92 e adesso mi accingo a leggere l’intera raccolta e a rileggere dell’amore di Zezi e il magistrato nella sua prima stesura.

Salvatore Mannuzzu è un autore ingiustamente dimenticato, ed io sono stata davvero felice di averlo incontrato sul mio cammino.

 

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“La ragazza perduta” di Salvatore Mannuzzu, Einaudi editore . Un libro tra le mani.

Antonella Russi

Nata a Taranto, classe '76. Lettrice per passione, da sempre.

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