“Kairos” di Jenny Erpenbeck: una storia e la Storia tra tossicità e spaseamento

KAIROS di Jenny Erpenbeck
(Sellerio editore)
“Kairos“, per i greci, era il Dio dell’attimo fortunato e stava a indicare il tempo giusto, opportuno, quello in cui accade qualcosa di importante, di speciale.
In questo caso, questo “momento perfetto“, potrebbe essere quello in cui una studentessa diciannovenne, Katharina, incontra Hans, scrittore cinquantenne, nella Berlino Est del 1986.
Attraverso la loro relazione, tutt’altro che sana, assistiamo al progressivo disgregarsi delle DDR, al passaggio da una società repressiva e a suo modo protettiva ad una società libera e competitiva.
I loro corpi, la tossicità del loro rapporto fatto di manipolazione, di subordinazione e di controllo, s’intrecciano con il crollo del Comunismo tedesco, e ci permettono di assistere alla fusione di una storia (d’amore, che amore non è) con la Storia.
Alla luce di tutto questo, il romanzo mi sarebbe dovuto piacere tantissimo.
Sarebbe, appunto.
Perché qualcosa non ha funzionato.
Aspettative e realtà
Ero fortemente desiderosa di immergermi in un periodo storico così pieno di contraddizioni, così fitto di ombre e di farlo usando come lente una relazione malata, che potesse mettere a nudo tutta la fragilità umana, mi aspettavo una narrazione sulla coercizione, sulla violenza psicologica, sulle asimmetrie di potere che, come in un gioco di specchi, rimbalzassero dalle relazioni interpersonali ai sistemi di governo.
Ma in realtà ho trovato una scrittura lenta, lentissima, molto ripetitiva e ridondante, oltremodo prolissa che, mi dispiace moltissimo dirlo, mi ha annoiata per buoni due/terzi del romanzo.
Mi hanno coinvolta davvero solo le ultime 100 pagine (a fronte di quasi 400).
Tossicità e spaseamento
Il racconto della relazione tra i protagonisti l’avrei voluto più incisivo, meno dilatato, meno diluito in un mare di digressioni che mi hanno messo a dura prova.
Non sono riuscita ad immergermi, come speravo, in un contesto così particolare come immagino sia stato quello della Berlino Est, la vita così come era concepita, il quotidiano di quegli anni è solo sullo sfondo, appena accennato, a mio parere soffocato da una quantità di riferimenti culturali, musicali e artistici che hanno offuscato tutto il resto (sicuramente troppo alti “per me”).
Mi è piaciuta invece la parte finale, in cui si racconta dello spaesamento, del disorientamento che gli abitanti della parte Est hanno provato subito dopo la caduta del muro: la loro città, quelle strade conosciute in cui si sentivano al sicuro, cambiano aspetto, smettono di essere “casa” e diventano straniere, il consumismo irrompe nelle loro vite senza che loro abbiano i mezzi economici per affrontarlo…
La libertà appena conquistata, per molti, diventa quasi una condanna.
Ho trovato anche particolarmente centrati e ben descritti alcuni comportamenti tipici di chi è abituato a manipolare, di chi esercita il controllo e mette in atto una forma di violenza psicologica così subdola da essere scambiata per amore (anche da chi la esercita).
Sono profondamente in crisi, lo ammetto, perché mi trovo davanti ad un libro oggettivamente scritto benissimo, oggettivamente colto e raffinato, oggettivamente interessante in tutti i suoi contenuti, eppure non è riuscito a coinvolgermi, né ad emozionarmi.
Quando questo accade, lo vivo come un fallimento, il mio.
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“Kairos” di Jenny Erpenbeck, Sellerio editore . Un libro tra le mani.