Un libro tra le mani

“Almarina” di Valeria Parrella, recensione: Un libro tra le mani

Ci sono libri, come “Almarina“, che non hanno bisogno di tante parole per arrivare a destinazione, che racchiudono in poche pagine così tanti pensieri e sentimenti da assumere un peso specifico altissimo, a dispetto di quello fisico.
“Almarina” di Valeria Parrella ti prende e ti colloca in mezzo tra il dentro e il fuori, dentro le mura di un carcere minorile e fuori, nelle strade in cui questi ragazzi non sono riusciti a ritagliarsi un pezzetto di mondo degno di essere chiamato vita.

Torneranno da dove sono venuti

Almarina Valeria Parrella
Almarina

Rimani in sospeso tra la voglia di guardare dentro e accogliere gli sguardi di questi ragazzi così soli, diffidenti, così abituati al disprezzo perché da sempre disprezzati, e la voglia di prendere le distanze dai loro occhi, perché già sai che li perderai, che un giorno “torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui”.
Questo è ciò che pensa e vive quotidianamente Elisabetta, insegnante di matematica nel carcere minorile di Nisida.

“L’odio è una paura costante incancrenita, è una difesa che si è fatta fraintendimento, l’urlo che è rimasto nel fondo della Terra e nessuno ha ascoltato in tempo.”

A Elisabetta Maiorano non interessa il motivo per cui quei minori si trovano lì dentro, non è importante  ciò che hanno fatto, ma quello che ancora possono fare.

La possibilità.

Lei ama questi ragazzi cosi tanto abituati alla reclusione e cosi poco abituati “a fidarsi” degli adulti, accetta di avere ogni giorno una classe diversa, è consapevole di non poter mai finire un programma che in realtà non esiste, ogni giorno fa i conti con queste separazioni apparentemente indolori, ma fattivamente laceranti… fino al giorno in cui incontra gli occhi di Almarina, ragazza rumena dal passato difficile, un passato fatto di violenza, stupro, di un viaggio attraverso i Balcani che le è costato tantissimo in termini di vita.

“C’è stata una ragazza seduta di fronte a me per anni, finché l’età non se l’è portata via a marcire le mestruazioni in chissà quale cella: aveva gli occhi scoppiati delle rane d’inverno.

E un’altra, invece, teneva nello sguardo la colpa del suo crimine come un cavallo il suo giogo. I loro reati si dicono in due frasi, quelle che loro non possono pronunciare mai, manco con noi insegnanti. Sono racconti sussurrati in sala professori mentre si scalda il caffè sul fornellino elettrico.”

Almarina ed Elisabetta

Almarina
Almarina

Le loro rispettive solitudini si riconoscono.
Elisabetta vede negli occhi di questa ragazza la luce di un possibile futuro, lo specchio di una parte di se stessa e l’incarnazione del figlio che non ha potuto avere, né partorendo, né adottando.
Sente più che mai l’esigenza di una giustizia che non sempre trova riscontro nelle aule dei tribunali, ed è pronta a lottare affinché la sua voglia di dare e il bisogno di Almarina di ricevere possano coesistere in una sola parola: amore.

“È una sensazione vagamente dolce, quando aderisci all’immagine che ti danno gli altri: come un dolore che sta passando sotto l’effetto di un farmaco, ti arrendi a essere un poco meno di quello che sei. Che già la vita ce ne dà troppe occasioni, di sentirci diversi dagli altri, e soli come cani.”

Valeria Parrella ci dona, romanzandola, la sua esperienza di insegnante nel penitenziario di Nisida, e lo fa con il suo modo unico di scrivere, così denso, intimo, poetico ed incisivo, tanto che ad ogni frase sei costretto a fermarti, a dare corpo alle parole e a portarne il peso sul cuore.

“Almarina” di Valeria Parrella, Einaudi editore. Un libro tra le mani.

Antonella Russi

Nata a Taranto, classe '76. Lettrice per passione, da sempre.

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