Sussurri tra le pagine

“Una casa alla fine del mondo” di Michael Cunningham: recensione libro

“Una casa alla fine del mondo” potrebbe essere banalmente sintetizzato con un triangolo amoroso, ma basta leggere poche righe per capire che c’è molto di più dietro ogni singola parola che Michael Cunningham sceglie di utilizzare per raccontare questa storia di amore e passione, amicizia e fedeltà, dolore e paura. Attraverso una scrittura ipnotica e una narrazione a più voci, descrive un agglomerato di sentimenti confusi, tanto minuziosamente e con una precisione ed un realismo tali, da risultare, infine, dolorosi. Un groviglio di emozioni annodate intorno a tre persone speciali, fragili, ognuna a modo suo, innamorate, ognuna secondo le proprie regole, ferite, ognuna dalle proprie paure.
 
Tutto ha inizio con due bambini Jonathan e Bobby. Nella Cleveland degli anni 60, una città in cui non
(2020, Aaron Blanco Tejedor, Unsplash License)
succede mai nulla, in cui tutto è sempre uguale ed è difficile credere in un futuro migliore. Alle spalle due famiglie complesse, crepate da motivi diversi ma anche del tutto analoghi: dolori, lutti, spaccature interiori, chiusure, silenzi, insoddisfazione. Jonathan con le sue bambole, che vanno bene solo se ci si gioca in casa, e con le storie inventate per far sorridere la mamma. Bobby con un profondo dolore nascosto dietro il grande occhio blu, cucito su una vecchia giacca di pelle. Quell’amicizia avventata, improvvisa, che un giorno muta, evolve e si trasforma in una immensa confusione di corpi ed emozioni inesplorate “… io vidi che abitava il proprio corpo così totalmente e con la stessa miscela di meraviglia e confusione con cui abitavo io. Prima d’allora avevo sempre creduto – pur non avendolo mai confessato, neppure a me stesso – che gli altri fossero tutti un po’ meno reali di me; che le loro vite fossero un sogno composto di scene ed emozioni simili a istantanee: discrete e precise, ovvie, uniformi.”
 
Due madri, che in modo del tutto dissimile, vedono scivolarsi via dalle dita le vite dei propri figli, spezzate, stravolte, mutate dalla crescita o dall’ineluttabile destino. E quando diviene chiaro che un sonnifero in più non anestetizzerà il dolore, ci si inizia a congedare lentamente, fino a sparire del tutto, lasciandosi alle spalle, un nuovo e rinnovato dolore. Ed è allora che resta ai vivi, la voglia di affogare in un pianto, un modo per sfuggire allo strazio, all’immensità di un’agonia che ha capovolto il mondo, lasciando tutto spaventosamente immutato.
(2020, Julia Volk, Pexels License)
Le difficoltà di una giovane donna e la voglia di restare, ancora per un po’, l’amica prediletta dei suoi, non più bambini. L’adolescenza con tutte le sue battaglie, il desiderio di essere altro, di trovare una dimensione comoda in un mondo che appare fin troppo asfissiante e al contempo la voglia di sapersi ancora protetti da una giovane Wendy su un’isola che non c’è. Poi, i sogni, maledetti, che non si avverano, i progetti, troppo futili, che vanno in fumo, come le case. La caparbietà di ripartire da zero, ma stavolta senza sogni. Stretti in un calore, che appartiene a qualcun altro.
 
Gli anni passano, e arriva Clare. La coinquilina, l’amica, la confidente, una sorella, che vuole “una vita tranquilla e una vita scandalosa”. Allegra, contraria alla bellezza per principio, una donna che “sbrigava le faccende quotidiane con ironico buonumore… come la superstite di una guerra, che porta ancora il rossetto e i tacchi alti per camminare tra le macerie” mentre i drogati, giovani, belli e dannati, ballano agli angoli delle strade. Clare, che diventa una quasi famiglia, un quasi grande amore, quasi l’unica certezza per il futuro. Sempre e solo un “quasi”.
 
Ma come possono due persone tanto importanti l’una per l’altra, ritrovarsi nella stessa città, nella
Michael Cunningham
stessa casa, come due intimi estranei, due freddi amanti, due cuori solitari che un tempo battevano all’unisono? Come può il tempo scorrere incessante e creare solchi tanto profondi, plasmare e mutare a suo piacimento, senza chiedere il permesso? Come possono i due pezzi di un grande amore, guardarsi negli occhi come semplici conoscenti, poco più che estranei, poco meno che lontani cugini? “Col passare degli anni, avevamo perduto l’inevitabilità del nostro essere insieme; eravamo adesso come i parenti di due vecchi amici che sono morti.”
 
Bobby, timido, introverso, chiuso, reticente alle novità e alle mondanità, dapprima si perderà nei meandri di una città troppo nuova, poi, sceglierà di viverla questa bizzarra esistenza, per sé e per chi non ha ne ha avuto la possibilità. Come un risveglio dopo anni di letargo, il nuovo Bobby, imparerà a ricercare la felicità guardando al di là del confine delle proprie certezze. “L’ordine abituale delle cose stava saltando in aria, mostrandomi quelle possibilità che c’erano sempre state, nascoste tra i disegni di qualche tappezzeria. In un’altra epoca, ci facevamo di acido più o meno per la stessa ragione.”
 
Si crea, così una realtà del tutto nuova: ci sono Bobby e Jonathan e il loro rapporto che è qualcosa di più dell’amore, che va oltre il sesso, una devozione, carnale, intima. Un legame infinito che naviga al di là delle leggi comuni. “C’era sesso fra noi, ma non facemmo sesso… Era un modo più dolce, più fraterno, di fare l’amore. Era una comune devozione al benessere dell’altro, e una familiarità profonda coi nostri corpi imperfetti.”. Ci sono Bobby e Clare, lui con le sue fragilità e la timidezza virginale, lei con la sua paura di invecchiare troppo in fretta, di essersi persa qualcosa, di non aver fatto in tempo a realizzare il suo desiderio materno. Un’amicizia, un complicato rapporto tra sorella maggiore ed un fratellino da istruire, la trasformazione in qualcosa di nuovo, che probabilmente non ha ancora nome “Eravamo stati amici e adesso eravamo qualche altra cosa. Sicuramente un po’ tesi, e sempre più intimiditi l’uno dall’altra. Quando esaurivamo le cose da dire, il silenzio, per la prima volta, ci imbarazzava.” Ed infine, ci sono, Clare e Jonathan. Quasi una coppia sposata. Conviventi, complici, amanti in un senso completamente platonico. “Condividevamo una vita di vestiti e pettegolezzi e introspezione. Aspettavamo, senza particolare urgenza, di vedere se qualcuno ci avrebbe chiesto un altro tipo d’amore, quello più terrificante e travolgente.”. Perché a volte l’amore diventa un bisogno, una necessità, qualcosa in cui affondare per cogliere la bellezza della vita. 
 
(2019, Nimer Bushnaq, Pexels License)
Certo, questo libro potrebbe essere banalmente sintetizzato con un triangolo amoroso, ma in realtà racconta qualcosa di molto più ordinario: amore. Semplice, forte, travolgente, tumultuoso, grandioso amore, in tutte le sue forme più eterodosse, in tutta la sua forza vitale, la stessa cui poeti, scrittori, pittori, registi hanno dedicato le più grandi opere. Quel sentimento capace di donare un sorriso anche nei giorni più bui, perché in fondo la vita è nulla senza amore, qualunque forma esso assuma ed ovunque esso esploda, anche in “una casa alla fine del mondo”.
 
Volevo solo tenerlo abbracciato per un po’, guidare la sua testa verso il mio petto. Volevo solo stringerlo a me mentre il suo corpo viveva la dura fatica di arrendersi al passato.

“Una casa alla fine del mondo” di Michael Cunningham, edizione Bompiani.

Sussurri tra le pagine per The BookAvisor.

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Angela Finelli

Classe 1987. Nata a Napoli, tra i vicoli e l'odore del ragù lasciato a "pappuliare" a fuoco lento già dall'alba. Amante dei libri da sempre, della buona cucina e delle mete insolite. Dipendente dal caffè, dalle risate spontanee e da quella punta di follia che rende la vita imprevedibile. Fiera sostenitrice del potere delle parole e dei sussurri nascosti tra le righe, quelli che lasciano un'impronta nella memoria e i brividi sulla pelle.

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