Sussurri tra le pagine

“Napolide” di Erri De Luca: recensione libro

“Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de’ criature
Che saglie chianu chianu
E tu sai ca’ non si sulo
Napule è nu sole amaro
Napule è addore e’ mare
Napule è na’ carta sporca
E nisciuno se ne importa
E ognuno aspetta a’ sciorta”
Così Pino raccontava la sua città.
 
Napoli, che è contraddizione. Dove sacro e profano si confondono, e le mani volte al cielo a chiedere grazia, stringono amuleti di una devozione più antica. Dove l’orizzonte abbaglia i pendolari al mattino, che imprecando tra le carcasse metallizzate in tangenziale, vengono investiti dallo spettacolo del Vesuvio. Città di panorama sublime e solenne, portatore di incanto, paura e devozione, con il Vulcano che svetta nei colori più belli del suo abito da sera, e la preghiera al Santo che si leva dal popolo, affinché plachi il suo rigurgito di lava. 
 
Napoli, che è mistero. È mal di testa che guarisce tagliando gocce d’olio in un piatto pieno d’acqua. É il pane che non si rivolge mai al contrario e che si bacia prima del peccato di gettarlo via. È il letto mai messo nel senso in cui giacciono i morti, con i piedi alla porta pronti ad andarsene. È l’olio versato da cui salva solo l’urina di bambino, è il “curniciello” che si regala e non si compra, è la spilla che non si dona senza prima una puntura, è il sale dietro le spalle che protegge da ogni jettatura
 
Napoli, che è nascosta. Che ha sembianze di cartolina dai quartieri alti, e si mostra intera, nuda, solo nei vicoli senza sole. Lei, bella, carnale, femmina, celata dietro il velo della sposa Lucia, l’anima “pezzentella” protettrice degli innamorati. Meraviglia di sole e di storia, all’ombra di un ingiusto passato, violata da un inguaribile presente. Oscura, a chi bendato cerca orientamento in una piazza, raggiunto dal vento marino che porta scompiglio nell’olfatto.
 
Napoli, che è morte e vita. Dove i defunti si lasciavano a scolare e la sedia di santa Francesca promette vita nuova. Dove lo spirito dei morti si rinfresca e alle anime del purgatorio si asciuga il sudore della fronte. Dove il sangue si scioglie nel nome di Dio, e la più bella rappresentazione del figlio Suo, riposa nella cappella di chi vendette l’anima al demonio. Dove le “capuzzelle” formano archi e croci, e i “guappi” vi prestano giuramento per una breve esistenza. Dove la polvere è gialla di pietra di tufo, roccia di magma, fluido di vulcano. Salvezza di un tempo passato, condanna cancerogena per il futuro.
 
Napoli, che é linea di confine immaginaria. Quella dei campi da calcio inventati sui marciapiedi affollati, con gli zaini a segnare le porte ed i passanti calati in vesti di arbitri attenti. È il perimetro di un basso che si allunga fino al marciapiede, quando l’aria brucia e la mancanza di finestre asfissia. É fine e inizio delle vite che le appartengono, perché da Napoli ci si allontana, ma non si va mai via davvero.
 
Napoli, che é odori. Tutti quelli che investono all’uscita della stazione, quando si è colti da caldo vento di frittura e fresca brezza di mare. È il ragù lasciato a “pappuliare” dalla sera prima. Il sangue nelle vene di una città fatta di vicoli, di mura che si impregnano e di fame eterna. É l’aroma del caffè ad ogni ora. Necessità più che tradizione. È una sposa che attraversa i vicoli del centro tra i sanpietrini scollati, con i nuovi décolleté e le vecchie abilità da equilibrista, solo per perdersi un istante nell’amarezza del liquido caldo. Impellenza più che piacere. 
 
Erri De Luca (2012, Nicolò Caranti, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)
Così, ho provato a raccontarvi questo stupendo ammasso di incoerenza e confusione, e l’ho fatto perché non é una descrizione, una guida o un racconto, che troverete in “Napolide”. Erri de Luca non si aggiunge alla lunga lista di chi questa città l’ha narrata, lui, che piuttosto Napoli l’ha compressa, ne ha estratto l’essenza e l’ha riversa su carta. Meno di 100 pagine è lunga Napoli, poco meno di 40 gr è il suo peso netto, ed in questo spazio ridotto, ci troverete tutta la sua immensitá.
 
A partire dal sofferto distacco che gli ha procurato una cittadinanza per difetto, l’autore, ricorda la salvezza del faro di Mergellina, il dialetto necessario, le commedie di Eduardo, il vento di Libeccio, il volto della sua cittá, che come quello di una donna amata, rivedrà poi in tanti altri. “Ho letto Napoli sotto Gerusalemme e l’ho vista a Mostar tra le case martellate, sulle facce magnifiche, miserabili dei musulmani slavi della sponda est, signori d’altra epoca in mezzo a macerie insanabili e morti sepolti nei giardini. Negli sciami di bambini ho rivisto i miei d’infanzia. I bambini napoletani di Mostar est uscivano per le vie sotto l’incerta tregua del maggio 1994 incontro ai nostri furgoni. Sgambettavano al sole di guerra che li aveva costretti a stare tanti mesi al buio delle cantine assiderate. I più stranieri in terra erano i vecchi. Su loro incombeva il torto di sopravvivere a figli sotterrati, a nipoti esplosi o sfiniti di fame. Rasentavano i muri, guardando in terra con la scusa di non inciampare. Vivere per loro era vergogna e ogni pasto un furto che toglieva peso a un figlio, a un nipote. Uscivano dai bassi di Mostar est i nonni musulmani incontro alle croci stampate sui nostri furgoni, le prime croci che non portavano stragi da ovest. Ho visto su di loro le facce dei miei che uscivano incontro agli americani in fine estate del 1943, incontro a quelli che li avevano bombardati cento volte. Sotto altre carni e alfabeti ho visto Napoli. Credo di riconoscerla solo sotto i travestimenti.”
 
Leggetelo. Leggetela davvero questa lunga poesia, perchè per Napoli si provano solo sentimenti senza scampo: amore senza riserve o disprezzo irrimediabile. Mai ha lasciato spazio alle indifferenze. E se esiste davvero un modo per capirlo, questo mondo straniero, “Napolide” è la sua unica, splendida, perfetta traduzione. “Un popolo tellurico, lo riconosci da come guarda il mare: con affidamento. Da noi pure quando è in burrasca è visto come via di fuga. Dall’incendio del suolo e del cielo, unica salvezza è il mare. Pure se si svuotano le budella roventi dell’inferno, il mare le saprà fermare. Un popolo tellurico vede nelle ondate che spazzano il golfo una forza di pace contro l’insurrezione periodica del fuoco.”
 
“Napolide”, si definisce l’autore.
Perchè ha perso il diritto di cittadinanza, dice.
Voce della mia terra, la definisco io.
 
P.S.
L’editore “Dante e Descartes” nacque da una storica libreria, da 40 anni, anch’essa, parte di questa cittá.
 
Di tanto in tanto spunta su un giornale qualche graduatoria sulla vivibilità delle città, Napoli non primeggia. È colpa dei parametri presi in considerazione. Non c’è la voce «mare» che consola e odora, non c’è la voce «vento» che trasporta sabbie e spezie lontane, ma soprattutto non c’è la voce «vulcano» che dà peso di cenere e sveltezza di fuochista alla forgia di un popolo, e che popolo.

“Napolide” di Erri De Luca edizione Dante & Descartes.

Sussurri tra le pagine per The BookAvisor.

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Angela Finelli

Classe 1987. Nata a Napoli, tra i vicoli e l'odore del ragù lasciato a "pappuliare" a fuoco lento già dall'alba. Amante dei libri da sempre, della buona cucina e delle mete insolite. Dipendente dal caffè, dalle risate spontanee e da quella punta di follia che rende la vita imprevedibile. Fiera sostenitrice del potere delle parole e dei sussurri nascosti tra le righe, quelli che lasciano un'impronta nella memoria e i brividi sulla pelle.

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