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“The storyteller. Storie di vita e di musica” di Dave Grohl

Chiudo l’anno con la recensione del libro di Dave Grohl, aka “quello dei Nirvana”. Era stato il mio scorso secret santa e mi ero ripromesso di leggerlo entro l’anno: questo lo rende l’unico proposito riuscito del 2024. Quindi vado allo specchio a osservare la mia faccia smunta e sconfitta e ritorno in un baleno.

The Storyteller dicevamo: la lettura non è arrivata a caso, perché chi ha scelto il regalo conosceva la mia simpatia per Dave e il rock in generale. I Nirvana hanno segnato un periodo indimenticabile della mia vita da adolescente, e come intrappolato in una foto, per molti aspetti mi sembra di trovarmi ancora lì, senza più i Nirvana. Tra l’altro questo è un aspetto citato anche dall’autore (riflessione sui Nirvana a parte), ovvero lo scherzo che ci tira il cervello facendoci illudere di essere ancora quelli di una volta. Come se invecchiare fosse una cosa che succede solo agli altri.

Cuscini, musica, e hotdog razionati

“The storyteller. Storie di vita e di musica” di Dave Grohl

“The storyteller. Storie di vita e di musica” di Dave Grohl, comunque, non è qualcosa di amaro, ma anzi è un’inno alla vita, uno sprone a cercare sempre la propria strada e a spendersi al cento per cento per le proprie convinzioni. È un’ulteriore conferma, come Stephen King, Joanne Rowling e un mucchio di attori di Hollywood che condividevano stanze razionando il cibo, scommettendo la vita nella loro passione. Tutti a un passo dal rinunciare fino all’arrivo dell’occasione d’oro. Il suono della batteria di Dave è fenomenale, un ritmo così scandito, così “preciso” che doveva essere per forza figlio di qualche cosa. E invece è solo figlio suo (scritto nel DNA dei Grohl, a quanto pare). Ci credereste che ha imparato a suonare la batteria percuotendo cuscini? Io l’ho letto dalle sue parole e faccio fatica a crederci. La sua unica lezione di batteria si è conclusa con il suggerimento di tenere le bacchette dal verso giusto.

Questo per dire che non aveva niente in mano se non la voglia di spaccare tutto, e di fuggire dalla periferia. Poi è arrivato il punk, quei suoni sporchi e chiassosi ben lontani da quelli delle Major. Il piccolo David, scoprendo quella scena, aveva capito a cosa consacrare la sua vita. Perché era quello in cui si riconosceva. Tutto il suo percorso non è stato altro che la ricerca di se stesso e del suo ruolo nel mondo. Il resto è la solita escalation di fortuna e coincidenze, perché quando il talento si trova nel posto giusto, qualcosa di buono nasce sempre.
Nella prima parte del libro si affastellano un mucchio di mia brand preferita, e il piccolo David ha modo di scambiarci qualche chiacchiera, a volte persino di suonare qualche brano. La sua prima volta in un club di stampo Jazz è stata fortunatamente breve per tutti. Ma se lui è salito su quel piccolo palco, senza la minima consapevolezza, è stato per fare felice la madre, una figura importante, come tutta la sua famiglia in generale. Ci torneremo.

Scream If You Wanna Go Faster

La sua prima occasione sono gli Scream, una band che si era fatta un nome nel circuito alternativo. Cercavano un batterista, lui era troppo giovane e pur di farsi prendere ha mentito sull’età (altra caratteristica comune ai talenti, dichiarare il falso pur di superare i provini). Superate le selezioni il problema è diventato reale quando girando in tour non aveva l’età legale per entrare in locali che servivano alcolici, per cui entrava all’ultimo, suonava e si rintanava nel furgone in un battibaleno. Furgone che per altro era spesso anche un letto, per lui che era l’ultimo arrivato. Funzionava così la vita prima di sfondare. Si partiva in tour, e si arrivava in Europa (una grande scossa per il piccolo David) senza avere il becco di un quattrino, senza sapere dove dormire e come mangiare, ospitati dai fan e dai contatti.

Poi arrivano i Nirvana, e anche qui tutto si è retto sul filo di coincidenze e lealtà. Cercavano un nuovo batterista e lo avevano visto suonare qualche settimana prima con gli Scream. Però poi i Nirvana lasciarno il posto a un loro amico, salvo ripensarci perché non volevano soffiarlo alla band in cui stava suonando. Anche Dave era pronto a rinunciare per rimanere con gli Scream, i suoi amici, quelli che finora gli avevano dato tutto quello che potevano dargli. La decisione, secondo Dave, è nata in seguito a una telefonata con la madre che lo ha convinto a mettersi al primo posto. Egoismo invece di amicizia. Ovviamente, nessuno conosceva la portata di quella scelta. Col sennò di poi nessuno avrebbe avuto esitazioni, anche se Kurt da lì a breve avrebbe detto a un produttore “Vogliamo diventare la band più importante del mondo”.

Ispirazione e riconoscenza

“The storyteller. Storie di vita e di musica” di Dave Grohl
The storyteller. Storie di vita e di musica – Copertina

Il libro è un monumento alla famiglia e ai legami in generale. Specie quelli che ci spronano. E a suo modo rassicurante vedere come Dave non abbia mai smesso di essere un fan, anche ora che è una rockstar. È amico di Paul McCartney, era una groupie impazzita quando ha conosciuto Iggy Pop, e per impressionare Brian Johnson ha fermato mezzo ristorante.
Vede tutto con gli occhi del bambino che non è più, e sono queste ispirazioni che lo mandano ancora avanti. Ispirazione è una parola che ripete spesso sulla chiusura del libro, e probabilmente è la parola più importante. La seconda forse è gratitudine, e la sua va troppo spesso a persone che non ci sono più, Kurt Cobain ovviamente, Taylor Hawkins, ovviamente. Ma anche il suo amico di infanzia Jimmy, una faccenda più privata, e quindi più profonda. L’amico senza cui non sarebbe nemmeno arrivato a Seattle, dice. Ringrazia continuamente per tutte le occasioni in cui è arrivato dall’altra parte. Tipo suonare il Saturday Night Live (se non ricordo male è l’ospite che ci ha suonato più volte), la sua trasmissione dei sogni di ragazzo, suonare agli stadi, suonare alla casa bianca, per ben due presidenti.

Questa è l’immagine che vuole Dave vuole dare di sé per mezzo di questo libro scritto durante la pandemia che ha fermato il mondo e i tour. Una storia molto parziale, che attraversa velocemente l’epoca dei Nirvana, come in effetti è stata veloce nell’arco della sua intera vita. Non lo segnalo come difetto, ma come avvertimento per chi spera di trovarci altro. Il libro per altro si ammoscia strada facendo, forse perché ci si aspetta un crescendo e invece l’autore lo ancora a terra, come per non ubriacarsi di successo. Il fatto che ogni capitolo parta con una frase a effetto che poi viene contestualizzata è una cosa che l’editor poteva sistemare, invece.

Storie di vita maggiori e minori

Brillare è un gioco che riesce facile quando gli episodi sono selezionati e scelti con cura. Tutti noi possiamo essere eroi ed amici fedeli scegliendo dieci momenti fortunati o valorosi. Sempre noi possiamo essere le persone più meschine del mondo, selezionando i momenti peggiori.
Dave è un marito affettuoso e un padre che per non mancare il ballo della figlia ha spostato di 3-4 giorni una data in Australia, affrontando un viaggio interminabile. Ma è anche il figlio amorevole di una madre che lo ha sempre supportato e di un padre che invece lo ha sempre rinnegato.

Tutto questo, però, mentre lo star system lo ha accantonato per uno scandalo che coinvolge un figlio nato fuori dal matrimonio. Pare che sia stato costretto a fermare il tour perché costretto a fare da padre anche al figlio illegittimo. Un bell’intoppo per il leale Dave che presta il trono agli altri rocker e viene a suonare per il Rock in 1000 (colpo basso che non ci siano nemmeno due righe nel libro). La verità è che l’ordine è stato ristabilito: se il punk diventa la nuova borghesia, per uscire dal sistema ci restano solo le cannonate.

Un giorno, mentre camminavo in un vicolo di Amsterdam con il mio vecchio amico Marco Pisa, un tatuatore di Bologna a cui avevo imbiancato lo studio in cambio di una bella marchiatura sulla spalla sinistra, fummo avvicinati da due tossici che cercavano di venderci l’eroina. Nessuno di noi due era un fan dell’eroina (e nemmeno degli eroinomani) e infatti Marco rifiutò educatamente con un secco: “Fuck off!” e continuammo per la nostra strada. Loro insistettero, standoci addosso, bussandoci sulle spalle, finché in un lampo Marco non estrasse un coltello a serramanico a velocità da Ninja e ripeté “FUCK OFF!”. Sbalordito, mi girai per andarmene, ma con la coda dell’occhio vidi che uno dei due tossici stava per darmi in un testa un tubo di metallo preso da un cantiere lì di fianco. […]
Un’esperienza del genere avrebbe fatto venire voglia a chiunque di fare i bagagli e tornarsene a casa, ma nel mio caso era proprio quell’elemento di pericolo a farmi preferire la vita on the road alle comodità domestiche.

“The storyteller. Storie di vita e di musica” di Dave GrohlRizzoli, 2023. Malditesto.

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